Il cuore intelligente di Rino Gattuso
Perché l'1-0 contro la Sampdoria dice poco del predominio ancor più sereno del solito offerto dal Milan e ancor meno del suo allenatore
La cosa più bella, anzi no, più importante, anzi no, più significativa, della partita è stato il dopopartita. Le interviste. O meglio. L’intervista a lui, il nostro conducator, anzi (è tutto un anzi, questo pezzo, ma a buon diritto, perché non vuol essere altro che il correlativo sintattico di una continua, progressiva correzione alle false e fuorvianti idee, ai preconcetti che circolano, o circolavano, su di lui), il nostro stratega magnogreco, Gennaro Gattuso. Davanti al microfono di chi gli ricordava i soliti, scontatissimi, eterni, pigrissimi giornalisticamente e calcisticamente parlando, cuore e grinta, ha reagito sbuffando e ha finto di aderire al trito ritornello – lo pensino pure tutti quanti, ha in sostanza detto, va bene così, continuino a ritenermi il caprone simpatico tutto polmoni e piedi (fors’anche cervello? Non manca, Iddio lo fulmini, chi lo crede) di ghisa. Salvo poi colpire il giustamente insoffribile luogo comune col sempre valido: “Sono chiacchiere da bar”. Ma soprattutto, poco prima, facendo con intelligenza (cioè con la fiera umiltà di chi è stato tra i cardini di una delle squadre più forti degli ultimi decenni) trapelare lo stato delle cose nelle loro reali dimensioni. Ossia, è tutto merito dei calciatori, ha puntualizzato Rino (e fin qui, niente di nuovo sotto il ripetitivo sole delle dichiarazioni italico-pallonare), che applicano quei miei pochi concetti – e ora, sono io ad aggiungere quanto ovviamente da lui sottaciuto –, concetti non banali che io ogni giorno con amore rossonero gli inculco, memore d’aver avuto grandi maestri e d’esser restato per anni con merito in mezzo al campo e alle più grandi intelligenze calcistiche della storia recente, tanto d’aver trasformato un insieme di costose figurine cinesi in una squadra vera, coesa, sempre più efficace e talora pure piacevole da vedere. Come appunto nella gara contro la Sampdoria, dove il risultato non dice niente di un predominio ancor più sereno del solito. Gattuso, che ha evidentemente perseguito nella sua vita da calciatore il mathei pathos (la conoscenza attraverso la sofferenza), continui pure da allenatore a patire, soffrire ognuno di quei maledetti novanta minuti, sbraitare, incitare la curva, prendere a schiaffazzi i suoi uomini a fine gara. Ciò che più conta è il suo indiscutibile cuore intelligente. Non chiamatelo più Ringhio.
Il Foglio sportivo - in corpore sano