Puntare sul Turco
Per rammendare i buchi del Milan ripartire da Hakan Çalhanoğlu, l'indossatore, e non certo usurpatore, di maglia numero dieci
Era dal 1453, dalla caduta di Costantinopoli, che da queste parti non si sarebbe mai pensato di poter dire una cosa del genere (e Dio ci perdoni). Bisogna puntare sul Turco. Sì, proprio lui, Hakan Çalhanoğlu, il nostro indossatore, e non certo usurpatore (pensa i casi della vita, e della storia), di maglia numero dieci. Da lui si dovrà ripartire, in parte ricostruire, su di lui (e su poche altre inequivocabili certezze) ripensare la squadra, con lui rammendare i buchi di un Milan a cui manca ancora un po’ di materiale pedatorio per potersi immaginare pacificamente tra le prime quattro del campionato. Insomma per poter tornare ad ascoltare sul campo, e non più al pub o sul triste divano di casa, la fatale musichetta della Champions. Il nostro buon Turco – con buona pace, stavolta, di Lepanto e di Pio V (Dio ci perdoni di nuovo) – credo debba essere un cardine inamovibile delle nostre rinnovate speranze, dei nostri non men che onesti desideri di riabilitazione internazionale.
Intanto è di certo da un bel pezzo quello che porta i migliori effetti speciali al Meazza e non solo, più del nostro adorato Bonaventura, più di Suso. E lo si è visto anche sabato. Ma ammettiamolo. La partitella col condannato, eppur per noi sempre esecrando, Verona è stata niente più che una normale transizione verso gli appuntamenti più importanti della stagione: la finale di Coppa Italia con la Juventus e gli scontri diretti (vabbe’, che ci tocca dire) con Atalanta e Fiorentina. Eppure, nonostante la scontatezza dell’esito, di cose belle ne abbiamo viste. Oltre al sullodato Çalhanoğlu, il gol di Cutrone, finalmente: non perché è tornato a segnare, ma perché è stato un gol da centravanti quale continuiamo a sperare che sia o possa a breve essere (cioè un centravanti vero, con un alto coefficiente-Inzaghi – l’unità di misura, che mi auguro venga presto riconosciuta dalla Fifa, dei rapaci d’area). Non solo: s’aggiungano le due notabilissime marcature dei cavalli da tiro della fascia destra, Abate e Borini. Venustà estemporanee o fausti vaticinii? Di solito mi regolo così. Se il numero nove segna, esulto; se segna un centrocampista, mi esalto; se lo fa un terzino, mi estasio. Ma qui forte è il rischio che un eccesso di ottimismo mi metta in ludibrio. E porti pure sfiga.
Il Foglio sportivo - in corpore sano