Storia di Bana e di sua madre, che raccontavano l'assedio di Aleppo
“Qualcuno mi salvi”, chiedeva Bana, nascosta fra il letto e la porta, ma dicevano che era un fake
"Qualcuno mi salvi”, dice Bana al Abed, nascosta tra il letto e la porta. Nel video si sentono le esplosioni e c’è la faccina spaventata di una bambina siriana di sette anni che si sforza di parlare in inglese, aiutata da sua madre, Fatemah: lei l’inglese lo insegna e ha trasformato l’account di Twitter @AlabedBana nel diario di sua figlia, che il Washington Post ha da poco definito, con un paragone difficile e terribile, “l’Anna Frank della guerra civile siriana”. Questa bambina era intrappolata, insieme agli altri civili siriani, nella zona est di Aleppo, e grazie ai pannelli solari sul tetto della casa la sua famiglia riusciva a usare internet per chiedere aiuto, per raccontare le giornate buone e quelle terrificanti, e anche per dire: perché restate in silenzio? In un tweet del ventidue novembre scorso Bana camminava fra le macerie ammucchiate ai lati della strada e fra le case distrutte proprio al centro, mostrava l’assedio, con gli elastici rosa nei capelli, e J. K. Rowling, la creatrice di Harry Potter, ha visto quelle foto e quelle richieste di aiuto e ha mandato a Bana in e-book tutti i suoi libri. Bana l’ha ringraziata, seduta sul divano di casa, abituata ormai a guardare diritto nella telecamera, forse contenta di questi trecentomila follower che da tutto il mondo guardano l’orrore in tempo reale. Ci sono anche gli amici di Bana uccisi, ci sono le lacrime per il ferimento di suo padre, c’è soprattutto la paura di sua madre, che tre giorni fa alle due del pomeriggio ha scritto: L’esercito è così vicino in questo momento.
Non so che cosa fare. L’unico modo di scappare è dal lato del regime, ma ho paura perché mi uccideranno. E poi ancora: sono molto triste perché nessuno ci aiuta, nessuno porta via me e mia figlia. Addio, Fatemah. La madre di Bana pubblica anche foto di bambini uccisi e il video di sua figlia, a letto sotto una coperta marrone a fiori, che tossisce e dice: sono malata, ho bisogno di medicine. Poiché è la realtà, e gli autobus verdi che dovevano evacuare i civili venivano fino a ieri fermati ai checkpoint dalle milizie iraniane, e poiché Bana è cresciuta dentro una città assediata, rischiando la vita ogni giorno, non esiste una realtà troppo dura da guardare e non c’è niente che questa madre avrebbe dovuto risparmiarci, un limite oltre il quale non andare per non turbarci troppo e per non farci pensare ad Anna Frank e alle altre. “Mi è proprio impossibile costruire tutto sulla base della morte, della miseria e della confusione. Vedo che il mondo lentamente si trasforma in un deserto, sento sempre più forte il rombo che si avvicina, che ucciderà anche noi, eppure quando guardo il cielo penso che tutto tornerà a volgersi al bene, che anche questa durezza spietata finirà”, scriveva Anna nel 1944, e Bana infatti ride e gioca e annuncia a Twitter che ha perso altri due denti, mostra i suoi libri, i suoi amici, il cielo azzurro quando è azzurro e non grigio del fumo dei raid.
Bana e sua madre hanno fatto tutto il possibile per non restare invisibili, e sono diventate velocemente il bersaglio di un’altra guerra, quella sulla disinformazione: le hanno accusate di essere finte. Il presidente siriano Bashar el Assad ha detto in un’intervista che l’account twitter di Bana era un “gioco” e “propaganda”, e troll anonimi hanno creato account falsi per prenderle in giro e screditarle, fino a che è stata avviata un’indagine, pubblicata mercoledì pomeriggio scorso, per scoprire se Bana era davvero Bana, se sua madre scriveva i tweet proprio da Aleppo, e proprio da quella zona della città: hanno geolocalizzato il suo account e hanno trovato velocemente le prove che la casa della famiglia di Bana è stata bombardata il ventisette novembre scorso, quando Bana ha scritto, alle dieci di sera, attraverso sua madre che la aiuta e la riprende con la videocamera del telefono: “Stanotte non abbiamo più una casa, è stata bombardata e siamo in mezzo alle macerie. Ho visto i morti e sono quasi morta”. In pochi giorni un ex soldato dell’esercito britannico e un analista di immagini hanno investigato sulla vita di Bana, “che non solo è reale ma è stata bersaglio di attacchi orribili”. Non era propaganda, era paura, non era disinformazione ma una quotidiana richiesta di aiuto: salvateci, dicevano Bana e sua madre Fatemah, usando i pannelli solari per ricaricare il telefono, usando la lingua inglese, le fotografie, i video, i libri, i sorrisi di una bambina e del suo fratellino minore.
Da ieri mattina alle cinque è cominciata una nuova tregua, quindi forse la famiglia di Bana è salita sul pullman verde e non possono ancora caricare il telefono e scrivere il diario di questo assedio, o di questa tregua. “Salvatemi per favore”, ha ripetuto Bana in questi mesi, sempre con fiducia, con stupore che non fosse ancora accaduto. “Nessuno sa che la mia vita è dura quando sorrido”. Sua madre le fa le trecce, le insegna l’inglese, l’aiuta con le parole e le fa coraggio ma soprattutto prende coraggio e forza da una bambina che continua a credere nel futuro. Anna Frank era più grande di lei adesso, ed era già una scrittrice, ma aveva quella freschezza, quell’ottimismo di chi non può mai perdere la speranza. “E’ molto strano che io non abbia abbandonato tutti i miei sogni perché sembrano assurdi e irrealizzabili”, scriveva nella soffitta di Amsterdam, “invece me li tengo stretti, nonostante tutto, perché credo tuttora all’intima bontà dell’uomo”. Aveva un progetto preciso, diventare una giornalista e, in seguito, una scrittrice famosa. Voleva pubblicare un libro intitolato: “L’alloggio segreto” (“e il diario potrebbe essermi utile per questo”). Dopo la guerra, diceva. “Nel frattempo devo conservare alti i miei ideali”. Bana e sua madre adesso avranno la possibilità di realizzare qualcosa che forse, fra Twitter e le bombe, hanno conservato.