Debbie Reynolds e Carrie Fisher, troppo litigiose per stare lontane
“Quindi avresti preferito avere Joan Crawford come madre”. Ti voglio bene, ma smettila di morire
Billie Lourd ha venticinque anni, è nata dalla relazione di sua madre con Bryan Lourd, che lasciò Carrie Fisher per un uomo. “Faccio diventare la gente gay, ho questo originale superpotere”, disse Carrie al mondo, con lo speciale talento di raccontare il dolore rendendolo una cosa divertente, senza togliere la cattiveria, lo strazio, ma trasformando la tragedia in una commedia liberatoria, in cui ci si può ancora abbracciare. Così anche Billie, che fa l’attrice e sarà la protagonista dell’ottavo episodio di Star Wars, ha imparato a ironizzare sulla sua famiglia e su se stessa: “Mia nonna si arrabbia davvero molto quando mi chiamano: la figlia di Carrie Fisher. Lei vuole che la gente mi chiami: la nipote di Debbie Reynolds”. E adesso che Debbie Reynolds è morta mentre pensava al funerale della figlia Carrie (che ha avuto un attacco cardiaco mentre volava dalla madre a Los Angeles per passare il Natale insieme), e suo figlio ha detto che le ultime parole della madre sono state: “Voglio solo stare con Carrie”, Carrie potrebbe dirle, come in “Cartoline dall’inferno” (il romanzo autobiografico da cui trasse la sceneggiatura per il film interpretato da Meryl Streep e Shirley MacLaine): “Mamma, perché senti il bisogno di eclissarmi continuamente?”.
Hanno passato la vita a rubarsi la scena e ad amarsi, a litigare e a sostenersi, e a fare battute sulla morte. “Ho scritto nel testamento che non devono seppellirmi senza sopracciglia: non andrò sottoterra senza le mie sopracciglia”, diceva Shirley MacLaine a Meryl Streep che le rimetteva le ciglia finte in ospedale, e Meryl Streep spiegava al medico che le aveva fatto la lavanda gastrica e poi chiesto di uscire: “Noi siamo costruite più per il pubblico che per il privato”. E Carrie Fisher ironizzava sul suo essere per sempre la principessa Leila di Star Wars, in cui George Lucas le aveva chiesto di recitare senza reggiseno, per via dell’assenza di gravità: nello spazio il corpo delle persone si espande e Leila avrebbe rischiato di morire strangolata dal suo reggiseno. “Credo che questa cosa diventerebbe un fantastico necrologio, e allora dico a tutti i miei amici più giovani di me che non importa come morirò: voglio che sia detto che sono affogata nella luce lunare, strangolata dal mio reggiseno”. Carrie Fisher e Debbie Reynolds (Debbie Reynolds di “Singin’ in the Rain”, Debbie Reynolds che con il padre di Carrie formò per qualche anno “la coppia preferita d’America”, ma poi lui la lasciò per la sua amica Elizabeth Taylor nel 1958, e circa cinquant’anni dopo Billie Lourd, la figlia di Carrie, cominciò a uscire con un nipote di Liz Taylor e chiese alla madre: mamma, ma non saremo mica parenti?, ma Liz e Debbie si erano già riappacificate e avevano recitato insieme in un film per la tivù scritto da Carrie, “These old broads”) sono state il romanzo disfunzionale, compresi alcol e droghe, di una madre e di una figlia, costruito per il pubblico, ma vivissimo anche nel privato: Carrie Fisher e sua madre hanno vissuto fino a questa sconvolgente morte quasi contemporanea a Beverly Hills come le signore della porta accanto, una vicino all’altra, sempre.
Come quando Carrie bambina dormiva sul tappeto accanto al letto della madre, che essendo una vera star quando tornava a casa aveva bisogno di recuperare il sonno perduto, e quello era l’unico modo per starle accanto senza disturbarla. “Sono cresciuta guardando mia madre che firmava autografi, scriveva il suo nome sopra foto di se stessa sorridente, o su pezzi di carta bianca, tesi da braccia di sconosciuti che l’amavano, la guardavo mettere la sua adorabile firma su fotografie e riviste, molte delle quali avevano in copertina la notizia dello scandalo di cui lei era protagonista”, ha scritto Carrie nel suo ultimo libro, “The princess diarist”, un memoir con la foto di Leila in copertina, in cui racconta anche la storia d’amore con Harrison Ford cominciata sul set di Star Wars, lei ragazzina bisognosa di essere “terribile con gli uomini, soprattutto perché mia madre lo era stata”. Debbie Reynolds aveva molto pubblicizzato questo libro, e Carrie l’aveva messa nei ringraziamenti: “A mia madre, per essere troppo testarda e intelligente per morire. Ti voglio bene, ma tutta quell’emergenza, quelle cose di quasi morte, non erano divertenti. Non pensare mai più di farlo di nuovo, in nessuna forma”.
Debbie Reynolds aveva ottantaquattro anni, i capelli biondi, lo sguardo azzurro, e certamente le ciglia finte, un grande senso del ritmo dell’esistenza, oltre che dell’umorismo, e sua figlia la adorava sul serio. C’è un documentario sulle loro vite, che uscirà nel 2017 per Hbo, “Bright Lights: Starring Carrie Fisher and Debbie Reynolds”, che racconta questa lunga storia d’amore, questa continua trincea di guerra. Durante i conflitti, quando Carrie incolpava sua madre di tutto, Debbie le diceva: “Avresti preferito avere Joan Crawford come madre?”. In “Cartoline dall’inferno”, Shirley MacLaine, la madre attrice e alcolista, dà una festa per la figlia, uscita dalla clinica dopo un’overdose. Insiste perché la figlia canti davanti a tutti, poi finge di schermirsi e si fa convincere in un secondo a cantare a sua volta: “Sono ancora qui, in re bemolle”, dice imperiosa al pianista, e fa il suo spettacolo, si prende tutta la scena, alza il vestito rosso, mostra lo spacco, prende gli applausi. Credevamo tutti che a una madre di questo tipo interessasse molto più il mondo di sua figlia, invece era il contrario: tutto lo spettacolo era per lei, solo per lei. Così, appena il cuore di Carrie Fisher ha smesso di battere, anche quello di Debbie Reynolds si è fermato. “Ce l’hai un po’ meno con me, adesso?”. “Ce l’ho sempre avuta meno con te”.