Il Figlio
Quando la terra, l'aria e l'acqua gridano: andatevene via da qui
Qui nessuno è più padrone della propria vita, non c’è un posto in cui dire a un bambino: sta’ tranquillo
Così tanta neve, nessun posto sicuro. Un’ostinazione cattiva scuote e ricopre e poi ricopre e ancora scuote una terra dove i bambini rimasti piangono di terrore, tremano di freddo, dicono: mamma portami via. Andare via è il messaggio che gridano gli alberi e le case crollate e le pecore ghiacciate, che nessuno può mettere in salvo, e grida anche l’hotel Rigopiano, in provincia di Pescara alle pendici del Gran Sasso, che una valanga ha spostato di dieci metri e sepolto: dentro ci sono molte persone e due bambini, e adesso che i soccorsi sono riusciti a farsi largo con le turbine, nessuno risponde. Nessuno respira più. Il padre era uscito per prendere qualcosa in macchina, mentre erano già tutti al piano terra con le valigie pronte, avevano pagato, aspettavano lo spazzaneve che aveva posticipato l’arrivo di qualche ora. Nessuno si sentiva al sicuro, avevano detto: vi prego fateci andare via.
Questo padre, cuoco in vacanza con la sua famiglia, si è salvato insieme a un’altra persona, chiuso dentro l’automobile che non è stata completamente sepolta, e ha visto la neve ricoprire e far sparire il posto dove sua moglie e i suoi due figli, di sei e otto anni, lo stavano aspettando. E’ crollato il tetto. Hanno scavato per ore, nel buio, soltanto con i guanti, dentro quella neve soffice e nuova che è così bella, così spietata, come ha detto il sindaco di Ussita, una frazione di Macerata: “Voi non vi rendete conto di che cosa significa combattere contro un metro di neve”. Combattere contro il sogno di tutti i bambini, la neve soffice, che adesso è un incubo e un altro modo di morire: non si può nemmeno arrivare ad Amatrice, non si può portare cibo, e una madre e suo figlio sono stati estratti dalle macerie del terremoto già in ipotermia, perché in queste terre adesso si muore di tutto, anche di freddo, come nella favola di Andersen, “La regina delle nevi”, dove per una maledizione uno specchio deforma e accentua tutta la cattiveria, ghiaccia i cuori e nasconde le rose, e nessuno è più padrone della propria vita.
Questa è la sensazione che hanno i bambini e i loro genitori in Abruzzo e nelle Marche: là dove tutto è gelato, dove le mucche muoiono assiderate con la neve sopra il mantello, e le pecore sono ghiacciate, dove le case sono buie e le tende gelide e continuamente scosse da dentro la terra: sono le scosse che hanno spaventato e anche eccitato i nostri figli a Roma, i professori li hanno fatti andare sotto i banchi e poi via da scuola, mentre a pochi chilometri quelle scosse hanno fatto crollare di nuovo il mondo. La sensazione è che là nessuno è più padrone della propria vita. Sono in balia di una maledizione, qualcosa che non si scioglie, che non evapora, così abnorme e insistita che questo furore del vento e delle vibrazioni e della neve supera le favole, supera le streghe cattive, toglie anche la speranza di un lieto fine. Ai bambini non basta più essere consolati da genitori tremanti e esasperati, perché non ci credono più. Una bambina di sei mesi è rimasta isolata e senza latte in polvere, e per portarle il latte bisogna prendere gli sci, e intanto i genitori mandano messaggi disperati su WhatsApp e per la prima volta nella sua minuscola vita questa bambina scopre che la sua salvezza non dipende dai suoi genitori, che non è nelle loro possibilità.
A Frascaro di Norcia una famiglia con quattro figli ha continuato a vivere nelle tende per non abbandonare il paese, la vita e l’azienda, ma il bambino più piccolo, di dieci anni non ce la faceva più dal freddo, voleva stare dentro casa, anche se è lesionata, così ci è tornato con la madre. Sono arrivate le scosse e madre e figlio sono di nuovo fuggiti nella tenda sepolta dalla neve. “E’ stato tremendo per lui rivivere la paura del terremoto”, ha detto suo padre che non vuole andare in albergo e continua a dire che la loro vita è questa, è qui. Ma tutti gli elementi, l’aria l’acqua e la terra, dicono che no, dovete andarvene tutti, perché continueremo a scatenarci. Terribile per un bambino non sentirsi al sicuro. Terribile per una madre non poter dire a un figlio: sta’ tranquillo, è passato tutto. Una madre di Teramo è andata con i bambini dai parenti all’Aquila, perché Teramo era coperta di neve, bisogna scavare i cunicoli nelle strade, “provate voi a combattere contro un metro di neve” quando salta la corrente, chiudono i negozi e gli uffici e le scuole, si dorme con il cappotto e si battono i denti e non si può nemmeno caricare il telefono per dire: sono qui.
Questa madre è arrivata in auto dai parenti nella casa calda, i bambini hanno giocato con i cugini di sette e dieci anni, la mattina dopo è arrivato il terremoto, epicentro a dieci chilometri da lì, è arrivato e non è più andato via, la terra ha tremato tutta la notte, i lampadari e i muri e le sedie hanno continuato a muoversi, a dire: andate via. Lei ieri mattina è ripartita, tra la neve e il rombo della terra hanno scelto la neve, e ha portato via anche i suoi nipotini spaventati. Via da lì, alla ricerca esasperante di un posto dove riuscire a dire a un figlio: sta’ tranquillo. E’ il posto dove prima dell’alba hanno salvato un bambino di pochi mesi dall’ipotermia, è il posto non lontano dall’hotel sepolto dalla valanga causata dal terremoto, il posto dove nessuno risponde più. Hanno tirato fuori corpi assiderati. I parenti hanno ancora i messaggi sui telefoni. “Sta’ tranquilla, domani scendete”. “Tranquilla, insomma, c’è il terremoto”. Via da qui, grida la terra.