Cuore di roccia
Il mistero della differenza, anche se io ho giurato che non dirò mai: perché è un maschio
Non ho mai pensato alla differenza. Non ho mai pensato a quanto sarebbe stato misterioso e semplice crescere un figlio maschio, né a quanti pacchetti di figurine dei calciatori avrei comprato senza mai finire un album. La mia famiglia è piena di femmine, nemmeno i gatti sono mai stati maschi, e Giulio è arrivato come una novità, come una vacanza dal mondo ribollente e tortuoso delle ragazze, anche se ero sicura di non avere pregiudizi: la cosa più importante era imparare quella faccenda del pannolino che va cambiato velocemente. Per il resto, ho giurato che non avrei mai detto: perché è un maschio. Infatti in questi otto anni ho detto, ogni volta che non capivo: vabbè, è un maschio. E’ un maschio, quindi si sveglia più spesso la notte. E’ un maschio, quindi impara più tardi a parlare. E’ un maschio, quindi se gli dico: dai Giulio, saluta la signora, lui invece di salutare grugnisce e tira un calcio. E’ un maschio, quindi lancia in aria tutti i cuscini del divano e ci si tuffa sopra di faccia e poi di nuovo me li lancia addosso e intanto lotta contro l’aria, ogni sera dalle otto alle nove, massimo nove e un quarto, vince, alza le braccia al cielo e urla: sì!, con una voce cavernosa, e poi viene ad abbracciarmi e dice piano: mamma mi prepari il latte?
E’ un maschio, quindi anche se non gli frega niente di calcio, non vede le partite, si rifiuta di andare alla scuola di calcio il pomeriggio, vuole con tutte le sue forze fare l’album dei calciatori. Si sveglia la notte e viene a chiedermi se gli compro cinque pacchetti di figurine anche se non è sabato. Se camminiamo per strada è in grado di individuare un’edicola a un chilometro di distanza, se andiamo in gita fuori città si rabbuia e piange perché è certo che le edicole esistano soltanto a Roma, e in nessun caso si può lasciare l’Italia, perché in un paese straniero le sue figurine non esistono, e il Natale quest’anno “faceva schifo” perché vicino alla casa dei nonni non c’è un’edicola. Ieri il cane ha masticato la zampa di un suo maialino di gomma, e poiché l’animale preferito di Giulio è il maiale, lui ha pianto tantissimo, tutto rosso, gonfio, di nuovo con la voce cavernosa. Gli ho detto: non piangere, ti ricompro il maialino di gomma, che comunque era orribile e grufolava se gli schiacciavi la pancia. Lui scuoteva la testa e piangeva e le lacrime gli bagnavano il maglione. Ho detto: allora andiamo al cinema, ma niente, il maglione si stava inzuppando di lacrime. Ho detto (lo so che è sbagliato, diseducativo, ricattatorio, meschino, ma io avevo bisogno che lui smettesse di piangere, mi serviva tempo per farmi i fatti miei, era questa la cosa più importante): allora se non smetti di piangere riporto questo cane al canile così sarai contento e avrai i maiali con tutte le zampe. Il mio ricatto vile è caduto nella più totale indifferenza e in una pozza di lacrime. Poi ho detto: figurine, e mi sono accorta che qualcosa stava cambiando. Le lacrime continuavano a scendere ma erano lacrime d’attesa, lacrime più lente e calcolate. Ho detto: compriamo cinque pacchetti (è il numero di pacchetti del sabato, quindi comunque un affare visto che era mercoledì), e lui ha scosso la testa. Ho detto: va bene, sei pacchetti, e lui stava per cedere, ha esitato, ma poi ha scosso di nuovo la testa. Sentivo che ce l’avevo quasi fatta e ho detto: ultima offerta dieci pacchetti (consapevole dello sbaglio educativo, dieci pacchetti sono sette euro, sette euro per una zampa di maialino, ma io ero disposta a spendere anche di più, fino a dieci euro almeno, pur di guadagnare tempo di quiete).
Giulio ha annuito, finalmente ha annuito, e ha gonfiato le guance perché non voleva che io lo vedessi sorridere. Dieci pacchetti di figurine il mercoledì, a otto anni, hanno comprato la felicità. Siamo andati in edicola mano nella mano, con quella mano ancora soffice, e il sorriso che non riusciva più a trattenere, e la finestra tra i denti, e poi di corsa a casa perché non poteva aspettare neanche un secondo per scoprire se era stato solo fortunato o molto fortunato: la fortuna massima, per lui, consiste nel trovare le figurine doppie. A ogni doppia esulta come quando vince la lotta contro l’aria. Ha trovato due Maxi Lopez e mi ha baciato con lo schiocco. Ma perché sei così felice quando trovi le doppie? Perché le doppie posso scambiarle con i miei amici e con Johanna. Ma Johanna è una femmina!, ho detto. Johanna è una femmina ma fa l’album dei calciatori, anche per questo la amo, ha detto lui, e io allora ho sentito di nuovo quella misteriosa differenza: sono stata gelosa di Johanna, una bambina di nove anni molto simpatica e molto più alta di Giulio. Gelosa di Johanna, che vergogna, ho ricacciato indietro questo sentimento barbaro e gli ho detto che Johanna è davvero molto simpatica. Allora lui ha deciso di confidarmi una cosa che lo tormentava: “Mia sorella ha detto che ho un cuore di roccia perché anche se amo Johanna non voglio baciarla”. Gli ho detto che non vuole baciarla perché è ancora piccolo, ma che certo da grande la bacerà. Lui ha fatto una smorfia di disgusto: “No, non voglio baciarla neanche da grande e non voglio sposarla, ma mia sorella continua a dire che ho un cuore di roccia”. Io, che non sarò mai gelosa di Johanna perché l’ho giurato, ho sentito ancora il mistero della differenza, unito a una gioia feroce, e gli ho assicurato, baciandolo, che lui non ha affatto un cuore di roccia, e che sabato compreremo dieci pacchetti di figurine pieni di doppie.