Foto di Deveion Acker, via Flikr

Che bella notizia, e ora? Le giornate infinite, lo spruzzino per non svenire, e adesso la pace

Francesco Longo

Che bella notizia, e ora? Sgombriamo lo studio, buttiamo faldoni con i ritagli dei giornali. Che bella notizia, e adesso come vi organizzate? Compriamo delle punte da muro per il trapano, tagliamo una tenda a rullo per proteggere il soppalco. Sono così felice per voi, state già facendo preparativi? Carteggiamo, laviamo i pennelli nei barattoli, ci scambiamo sguardi soddisfatti. Sapete già se è maschio o femmina? Per il primo periodo l’unico compito è sterzare lievemente per schivare le buche dell’asfalto. La sera, al ritorno dal mare, evitare le buche è più difficile, ma è l’inizio dell’estate e le giornate sono infinite, sembra di vivere a Capo Nord. Fuori a cena, molte accortezze ridicole, “ricordati di non far mettere il prezzemolo”, “nel tiramisù c’è l’uovo fresco, giusto?”. La dottoressa domanda: avete deciso se fare l’amniocentesi? Qualsiasi decisione prenderete sarà giusta. Chiediamo: se dalle analisi si scopre che qualcosa non va si può intervenire? Risposta: no. Ci guardiamo. Che bella notizia, avete già scelto il nome? Siamo incerti tra Sigismonda e Oswald. E la mamma come sta? Lavora ancora, sta bene, a parte che non può andare in bicicletta.

 

Il primo accenno di gonfiore sul ventre, sotto una maglietta a righe, compare all’improvviso, in un vagone della metro, a Berlino. Ma perché, avete preso l’aereo? In montagna si va a dormire presto, si cammina tutto il giorno, il cielo d’agosto è di un blu intenso. La funivia sembra schiantarsi contro la roccia, i ciclisti arrancano lungo i tornanti, la sera ammiriamo le ragazze avvitarsi nelle piscine olimpiche di Rio e quando piove si va a Brunico. Non vi starete stancando troppo, vero? Tra settembre e ottobre escono bei libri. Li leggo, ne scrivo. Pitturiamo di bianco un piccolo armadio, trasferiamo un letto in garage. Alla fine dell’autunno i romanzi si fanno meno interessanti. E’ l’editoria a sfornare romanzi peggiori avvicinandosi al Natale o si stanno alterando i miei interessi? Il nome lo avete deciso? Durante l’Avvento le culle vuote a casa sono due, una nel presepio argentino, l’altra ampia, di vimini, con un orso seduto in attesa. Per mesi la mente si proietta in avanti. Come sarà la vita dopo? Che carattere avrà? L’immaginazione ci spinge a chiederci come sarà da grande, come sarà da vecchia. E noi, che genitori saremo?

 

Le luci delle vetrate del settimo piano del centro di yoga prenatale catturano tutta la luce di Roma. Per una mattina sono ospitati anche i futuri padri. Goffi, spaesati, in calzini. “L’incontro è finito ma prima vorrei ringraziare i padri. Siete la prima generazione a entrare in sala parto, i vostri padri non lo hanno fatto, né i vostri nonni, voi siete i pionieri di una nuova civiltà”. Roma non è mai stata così fredda per tanti giorni di seguito. Tutti ci augurano che non nasca con questo gelo di gennaio. Il futuro cugino si accosta alla pancia: Ciao, non vedo l’ora che nasci. Una sera spuntano a casa dei ciucci, un pesce-termometro per misurare la temperatura dell’acqua, un maglioncino fatto ai ferri con ricamato il nome e una coperta a righe cucita a maglia dall’altra nonna. Vado a Milano ma tengo il telefono acceso, ok? Compro i nachos ma tengo il telefono acceso, ok? E se nascesse il 20, il giorno dell’insediamento di Trump? Superata la presunta data di nascita il tempo si blocca. I messaggi dicono solo: “E allora, novità?”.

 

Lasciamo i telefoni squillare, a casa sembra che manchi lo spazio. Attraversiamo una Roma foderata di saldi, camminiamo finché fa buio, senza fermarci mai, con un senso di impotenza, senza mete reali. Arriviamo da Coin Excelsior per comprare una bottiglia di ketchup. E se non nasce più? La notte torniamo a piedi dopo il cinema: sulla terra arrivano tutti, compresi alieni a forma di seppie giganti, a parte lei: non sarà che non ci vuole conoscere? Basta che non nasca il Giorno della Memoria, dico, altrimenti festeggerà sempre tra “Schindler’s List” e Primo Levi. Risposta: non scherzare. Ma lo sai che domani c’è la luna nuova? Con le quattro frecce inserite passo tutti i semafori rossi. All’alba della domenica il lungotevere è deserto. Negli otto minuti per arrivare in ospedale l’inverno finisce, di tutta la vita non resta neanche un rimpianto. Chiedo: “Hai scritto a Sara per avvertirla che oggi non potranno vedere la finale da noi?”. In sala parto tengo in una tasca uno spruzzino per non svenire, nell’altra vibrano aggiornamenti sul match del secolo: Federer contro Nadal. “Dovreste chiamarla Roger”, recita l’ultimo messaggio. Il primo a chiamarmi “papà” è un anestesista con basette folte e Crocs ai piedi, venuto a fare l’epidurale. Sì, è una giornata epica. A San Marcello al Corso c’è una messa alle 22. Nella seconda lettura san Paolo dice: “quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti”. La casa resta vuota per quarantott’ore. Poi, sotto un cielo che trattiene una luce dorata, le vado a riprendere all’ospedale. La casa si riempie di pace, di persone, dei primi pianti disperati. La culliamo, ci svegliamo la notte, ci cerchiamo con gli occhi rotti e felici. 

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