Come in “Interstellar”, per i figli mi invento nuovi mondi, senza il fisico di Matthew McConaughey

Giorgio Scianna

La nostra scommessa credo sia tutta lì, nell’inventare una grammatica e un lessico nuovo per dare un’idea di futuro ai nostri ragazzi oggi

E poi ti senti come Cooper, il protagonista di quel magnifico film che è “Interstellar” di Christopher Nolan. Cooper per dare un futuro possibile ai suoi figli, di fronte alla Terra che rischia il collasso, prende una navicella, attraversa lo spazio e cerca nuovi mondi abitabili. Quando i miei figli sono diventati adolescenti il centro dei pensieri si è asciugato in una domanda: che futuro stiamo lasciando loro? Prima non era così, non me lo ricordo almeno. Quando i bambini erano piccoli io volevo dare loro rifugio, gioco, complicità, e farlo lì in quel momento, insomma vivevo nel presente. Da quando hanno compiuto dodici, tredici anni mi sono trovato a coniugare i miei pensieri sempre più al futuro. Mi ritrovo come in un film di fantascienza a pensare al mondo del 2030, a come prepararlo. Solo che a differenza di “Interstellar”, non mi ritrovo il fisico di Matthew McConaughey, e nemmeno le conoscenze scientifiche di Cooper. Così non mi resta che navigare, come tutti, a vista, cercando di fare del mio meglio. Mica facile. La mia generazione non è una generazione come le altre. Anche quando andavano incontro alla catastrofe i nostri avi marciavano nell’illusione di un progresso continuo, invece la nostra frazione di staffetta rischia di passare il testimone in preda al panico, usando espressioni come “crisi di sistema” e ”sviluppo zero”. Quella che mi fa impazzire più di tutte è “decrescita felice”. Allora, l’idea di rinunciare a un po’ di benessere per ritrovare ritmi più umani è qualcosa che sento personalmente vicino, ma come padre è un assurdo in termini: non si può propagandare ai propri figli una decrescita. E’ come insegnare a un centometrista a rallentare, ti guarderebbe come un matto.

 

La nostra scommessa credo sia tutta lì, nell’inventare una grammatica e un lessico nuovo per dare un’idea di futuro ai nostri ragazzi oggi. E intanto, mentre andiamo alla ricerca di mondi migliori dobbiamo pure impegnarci per lasciare una traccia dignitosa perché, come sentenzia ancora Cooper, noi genitori “siamo qui solo come ricordi per i nostri figli”. Ce n’è abbastanza per non dormire la notte: ci vuole esempio e un sacco di tempo da passare insieme. Di rappresentare l’esempio per i nostri figli ce ne ricordiamo di solito quando massacriamo di insulti un passante che rallenta sulle strisce, subito dopo che abbiamo ammorbato i ragazzi accanto a noi con un’ottima lezione teorica sul senso del rispetto. Quanto al tempo insieme, è un casino. Un meraviglioso, irrinunciabile casino. Io adoro il teatro: a cinque anni ho portato mio figlio maggiore a Milano a vedere l’“Uccello di fuoco” di Stravinskij. Durava cinquanta minuti, allestimento musicale per bambini, mi sembrava un buon modo di iniziare. Credo che si sia addormentato alla prima scena, si è annoiato terribilmente. Per fortuna alla fine dello spettacolo è andato veramente a fuoco un palazzo sulla via del ritorno e lui è tornato a casa entusiasta perché aveva visto un sacco di camion rossi dei pompieri.

 

Ho messo da parte il teatro per un po’. Mi sono tuffato allora nel loro di mondo, basket e calcio, offrendomi anche come guardalinee e tecnico al tavolo, ma mi distraevo e segnavo le cose sbagliate con la bandierina e sul tabellone. Quando mi hanno urlato contro un paio di genitori inferociti ho capito che era meglio per tutti desistere. Loro intanto hanno cominciato a capire un po’ di più di teatro e di cinema e io un po’ più di calcio, ma non abbastanza, perché mio figlio minore conosce anche i giocatori secondari della coppa d’Africa, e così al mattino mi toccava studiare la Gazzetta come per un esame ma alla sera citavo sempre il giocatore giusto nella squadra sbagliata o nell’anno che non era quello. Loro piano piano hanno scoperto che il cinema può essere fantastico e io che lo stadio mi piace un sacco. Sono finito in curva a saltare perché mi veniva di farlo.

 

Ho scoperto che per trovare una breccia per comunicare con i propri figli, non bisogna maneggiare la psicologia ma la geografia: cambiare territorio finché non ce n’è uno che vada bene per tutti, rifondare i confini delle nostre mappe mentali. Un po’ come Cooper abbiamo attraversato universi ignoti e costruito nuovi codici e nuovi mondi dove potevamo starci bene tutti. E’ stato così per la montagna, ce la siamo inventata insieme. Ho ragazzi che hanno un imprinting materno marittimo-salentino. Io amo sciare. La montagna estiva è un mondo che ci siamo costruiti da soli sbagliando strade, vagando in quota, sclerando perché si faceva buio e il rifugio era lontano, gustando il gelo dei bivacchi se ci toccava uscire dal sacco di notte, imparando a leggere i sentieri e a riempire i silenzi. E per una volta abbiamo fatto meglio di “Interstellar”: l’abbiamo fatto senza andare in un’altra galassia. 

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