"Summer soccer" di Franck Michel, via Flickr

Figli di Parigi

Paola Peduzzi

Le madri di Francia e noi, i pomodori mai assaggiati, le prove di rossetto, e i riflettori accesi sulla nonchalance

Qualche tempo fa il New York magazine ha pubblicato una lista delle novantasette cose che una donna può fare per essere come una francese – meglio: come una parigina, una che lascia Marine Le Pen al cinque per cento dei consensi, con quel look da centralinista che si dà un tono e le caviglie sbagliate. Nella lista c’è tutto: come (non) mangiare, come fare il nodo perfetto della sciarpa, come vestirti quando hai il cuore spezzato (eventualità remota), come fare sport senza sudare, come apparire bella anche senza tacchi, come lavarti la faccia, come metterti il rossetto (cinque modi diversi, uno specifico soltanto per il colore rosso), come stare bene con i jeans skinny e persino con i leggings (orrore), come fare una festa di duecento persone “senza sforzo”, come truccarti sembrando struccata, come pettinarti sembrando spettinata, come invecchiare senza sembrare vecchia, come fare l’amore (sei voci diverse di una presunzione inarrivabile: a Parigi non esistono nemmeno i primi appuntamenti, per dire) e naturalmente come crescere i figli.

 

C’è una letteratura che celebra il metodo educativo delle madri francesi, la nonchalance genetica, la capacità di farsi ascoltare bisbigliando dei “no” con il calice di vino rosso in mano –  e noi portiamo i figli dall’otorino ogni mese: devono essere per forza sordi, non rispondono mai a niente. Uno dei segreti, sostengono, è trattare i bambini come degli adulti, responsabilizzarli, renderli indipendenti, a loro agio, con un ruolo stabilito e quindi a loro comprensibile. Non serve alzare la voce se i figli sanno già come comportarsi (ma noi urleremmo comunque, con i padri, come lavandaie), non serve ripetere “mangia mangia mangia” se sai che non moriranno di fame, non serve minacciare punizioni apocalittiche se nessuno si sogna di fare un capriccio, si può tranquillamente organizzare una cena di amici con i piccoli a tavola, perché non metteranno i gomiti sul tavolo come fanno certi adulti. La soluzione è un regime change, eliminare la dittatura dei piccoli sui grandi che vige più o meno in tutte le case del mondo, tranne evidentemente in quelle della buona borghesia francese.

 

Sì, la critica principale alla cultura della superiorità francese, in particolare in questa scienza sciagurata che si chiama “parenting”, è che riguarda i pochi e i privilegiati, quelli che il 7 maggio non sono sicuri di andare a votare perché la domenica del secondo turno elettorale è in mezzo a un ponte e si va in villeggiatura. La crisi identitaria delle “deux France” – campagne contro città, popolo contro élite – nasce anche dalle donne, dalle madri, e da noi straniere che ci lasciamo soggiogare dal mito della superiorità francese salvo poi leggere avide le statistiche sull’utilizzo degli psicofarmaci: lo vedi che nulla luccica per sempre? Lo scontro culturale, e oggi politicissimo in Francia, è quello tra le madri che lasciano i figli alle feste senza farsi quasi notare, senza pretendere di conoscersi o chiacchierare con sconosciuti, e quelle che invece si piazzano rumorose di fianco alle pizzette, e non vanno mai via.

 

Edouard Louis, enfant prodige di France con il suo primo romanzo “Il caso Eddy Bellegueule”, ha raccontato con spietato dolore sua madre, che vota Marine Le Pen perché “ha le palle”, che non lavora perché le donne devono stare a casa, che non ha mai comprato un libro (per tutta la sua vita in casa con i genitori Eddy non ha mai avuto, non ha mai visto, un libro), che ha portato suo figlio per la prima volta dal dentista a quindici anni, quando era arrivata dallo stato una copertura sanitaria per la visita, che non ha dato da mangiare né frutta né verdura ai figli perché è roba da fighetti (il primo pomodoro della sua vita Eddy l’ha assaggiato a sedici anni, ed era buonissimo ha detto in un’intervista al Financial Times).

 

Quando il libro è stato pubblicato, questa madre ha iniziato a dare interviste per smentire ogni cosa, “tu ci hai traditi” ripeteva al figlio furibonda, e non le importava di essere stata rappresentata come una razzista, xenofoba, di non avere una risposta quando il figlio le diceva che la Le Pen è contro l’aborto e lei e sua figlia assieme avevano abortito cinque volte in tutto: soffriva a essere chiamata “povera”. “Quando sei borghese – ha detto Louis – hai due vite: la tua di tutti i giorni e quella in cui vedi te stesso in tv, ti leggi nei libri, ti riconosci nei media, ti scopri nell’arte. Ma le persone come mia madre ne hanno una sola, e sentendosi escluse è come se non esistessero”. Leggendo la prima bozza del libro di Louis, l’editore disse: non possiamo pubblicarlo, non esiste questa povertà in Francia, è una finzione. Il libro ha avuto un gran successo, la Le Pen è al ballottaggio, chissà dov’è la finzione, se la caricatura è la mamma di Eddy o se lo sono quelle madri che educano i figli come se ci fosse sempre un riflettore acceso su di loro.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi