Memoria di ragazza, e di una madre che è stata per lei "il fuoco"
Annie Ernaux e la distanza dalla realtà di chi vive per scrivere. Autobiografia di una vergogna
Annie Duchesne si affaccia alla vita attraverso la vergogna, Annie Ernaux afferra il ricordo di quella vergogna e lo scarnifica, poi gli offre nuovo movimento, lo manipola per trasformarlo in un grande romanzo, in “Memoria di ragazza”, tradotto come sempre da Lorenzo Flabbi e appena uscito per L’orma, già acclamato in Francia come la grande opera letteraria dei nostri anni. Annie Ernaux, che ha fatto dell’autobiografia la sua strada sempre nuova, ha preso la sproporzione fra una ragazza di diciott’anni che non sa nulla del futuro e una scrittrice che ha imparato a far coincidere la vita e la letteratura, cioè a usare la vita per scrivere la vita, e le ha messe una di fronte all’altra: a guardarsi da vicino senza potersi mai toccare. Il risultato non è la coincidenza, ma la riconciliazione attraverso l’esplorazione di un abisso.
Annie Ernaux è nata nel 1940, e quarantacinque anni dopo è tornata laggiù, in Normandia nel 1958, d’estate, attraverso lettere, fotografie raccontate, luoghi reali e romanzo di sé, non per colmare la distanza tra chi era e chi è diventata, ma per celebrarla. Per ringraziare, con dolore, quella vergogna sessuale e sociale di una ragazza di campagna che non aveva ancora letto Simone de Beauvoir. Per offrire l’onore delle armi a una sofferenza bruciante, alla solitudine di una donna inadeguata. A una volontà infelice che faceva sprofondare quella studentessa di diciott’anni, con madre umile e ansiosa, sempre “con le antenne alzate”, nella disperazione e nella vergogna costante. E’ stata la disperazione l’arma potente che ha fatto procedere Annie Duchesne verso Annie Ernaux, è stato il ricordo di quella disperazione a far tornare Ernaux a incontrare se stessa (una se stessa letteraria) nell’estate dei diciott’anni, la prima volta fuori casa senza genitori, la prima volta in cui ha lasciato il paese di Yvetot, in Normandia (fatta eccezione per i viaggi in pullman a Lourdes) e la drogheria dei suoi genitori, ora assunta come educatrice in una colonia estiva. “C'è qualcuno che se la ricorda quella ragazza? Forse nessuno”. Nessuno tranne Annie Ernaux, che quarantacinque anni dopo guarda la fototessera in bianco e nero dell’album scolastico del collegio: una ragazza carina pettinata male. “E’ davvero me, quella ragazza? Sono davvero lei? Per esserlo dovrei saper risolvere un problema di fisica e un’equazione di secondo grado leggere tutte le settimane il romanzo completo pubblicato sulle pagine della rivista Les Bonnes Soirées non vedere l’ora di partecipare, finalmente, a un party sentirmi addosso gli occhi grigi di mia madre ovunque vada non aver letto né Beauvoir né Proust né Virginia Woolf né eccetera”. Non sapere niente della storia del mondo dal 1958 in poi, non sapere niente della vita futura di Annie Ernaux, grande scrittrice ormai settantasettenne, che si è sposata nel 1964 con uno studente borghese, ha avuto due figli, si è separata, ha abortito, ha scritto libri sulla sua adolescenza, sul rapporto con i genitori, sulla sorella morta prima che lei nascesse, sul suo aborto clandestino, su sua madre malata di Alzheimer, su tutto quello che lei ha vissuto con quella non sempre impercettibile distanza dalla realtà che hanno gli scrittori: vivere le cose come se un giorno dovessero essere scritte. Annie Duchesne, adesso, è un’altra persona, una ragazza vergine che conosce il mondo solo attraverso i libri e che non sa che cosa sia il sesso ma muore dalla voglia di fare l’amore, seguita continuamente da una madre apprensiva che non le toglie gli occhi di dosso al ballo di quell’unica festa di paese. “So che cosa sta provando la ragazza in questo preciso istante, conosco il suo desiderio, l’unico in lei: che sua madre si tolga di torno, che riprenda il treno in senso contrario. Cova rancore e vergogna all’idea di essere vista insieme a lei”.
Tutto in lei è desiderio e orgoglio, e tra poco, quella stessa notte, arriverà invece la sottomissione, ciò che credeva di essere scompare e Annie si innamora di un ragazzo che la porta in camera, la fa spogliare, la fa entrare nel mondo sessuale, le dice cose mai sentite, la trasforma anche nello zimbello della colonia. Si innamora insensatamente, perché in realtà non prova niente, ma da quel momento lei si sottomette all’idea che ha di lui, alla sua brutalità, e vive nell’ossessione di piacergli, di attirare la sua attenzione, di essere all’altezza della sensualità di un’altra educatrice, non così goffa, non così sfuocata come Annie.
Alla sua compagna di stanza dice: sono andata a letto con il capo educatore. Lui è H, è anche un po’ scemo, ma lei lo chiama “L’arcangelo”, e di certo parla di lui nell’agenda del 1958, “che mia madre ha bruciato alla fine degli anni Sessanta insieme al mio diario, certa così di contribuire alla mia salvezza sociale distruggendo le tracce della dissolutezza di sua figlia, ormai diventata prof di lettere, ‘sposata bene’ e madre di due bambini – sua figlia, il suo orgoglio, la sua rabbia, la sua opera. La verità è sopravvissuta alle fiamme”. La verità che cos’è, se non quello che si decide di scrivere, di portare alla luce. In un’'intervista al Monde Annie Ernaux ha dichiarato che la persona fondamentale della sua vita è stata proprio sua madre, “il mio fuoco”. “A causa della sua personalità, della sua forza, del suo sguardo sul mondo e in particolare sul mondo sociale, tutto di lei mi ha portato alla rivolta. Lei voleva tracciare il mio destino, lei ne è largamente responsabile”. Sua madre che, quando a Annie scomparvero le mestruazioni per due anni, dopo quell’estate, e anche se il medico aveva spiegato che si trattava di amenorrea. e che quindi la tragedia non aveva avuto luogo, la considerava comunque colpevole di una colpa sconosciuta collegata alla colonia. Le diceva: se non ti torna il ciclo non vai al ballo della scuola d’agricoltura! Perché la figlia non coincideva più con la volontà della madre, aveva desideri segreti, voglia di scappare, anche se solo nella cucina dei suoi genitori, con la tavola ricoperta da una cerata, in mezzo alle caramelle e ai dolci, si sentiva in pace, sentiva di avere un legame con il mondo, che per il resto la ignorava, la ridicolizzava, la respingeva.
Molti anni dopo Annie Ernaux, finita dentro l’ossessione per il suo 1958, ha cercato su Internet “l’arcangelo” di allora, H.: ha trovato una foto di famiglia, la festa per le nozze d’oro. L’ha riconosciuto. Ha riconosciuto l’abisso tra le due realtà. “Come siamo presenti, noi, nell’esistenza degli altri, nella loro memoria, nel loro modo di essere, persino loro gesti? Incredibile sproporzione tra l’influenza sulla mia vita delle due notti passate con quest’uomo e il nulla della mia presenza nella sua”. Ma Annie Ernaux è una scrittrice e quindi non lo invidia, perché il potere adesso è suo: è lei che scrive.