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Le cicatrici dei cambiamenti nel libro di Teresa Ciabatti

Giuseppe Fantasia

Il Professore, la villa, i lingotti d’oro, una bambina che vuole essere per sempre “la più amata”

C’è un prima e c’è un dopo nella vita di tutti e i cambiamenti ne sono parte integrante, ma a volte gli stessi fanno più male di altri, perché lasciano cicatrici profonde che restano per sempre, basta sfiorarle per risentirne il dolore. Quando Teresa Ciabatti era piccola, suo padre era per lei “il mondo”, l’unico che conosceva assieme a quello che lui le aveva costruito attorno, un’oasi di pace e di ricchezza esagerata di cui il simbolo era la villa al Pozzarello, la prima con piscina all’Argentario, dove lei passava intere giornate sguazzando con il fratello gemello Gianni fino a farsi venire i segni sui polpastrelli. Il suo, il loro, era un mondo fatato dove i “sì” erano sempre più dei “no”, perché erano ricchi, ricchissimi – come racconta Teresa Ciabatti nel suo libro, “La più amata” (Mondadori), candidato al Premio Strega e costruito interamente sulla prima persona, come un’assunzione di responsabilità, come un grido di dolore – e tutto solo grazie a quell’uomo, Lorenzo Ciabatti, “un cagnolone buono” per via degli occhi marroni, quasi gialli, per gli altri, “Il Professore”, uno dei più giovani primari d’Italia (ci diventò a trentuno anni), che dopo gli studi e la specializzazione americana (testimoniata da un anello d’oro con zaffiro quattro carati indossato all’indice della mano destra), tornò nella sua Orbetello all’ospedale, il San Giovanni di Dio, dove nessuno osava contraddirlo. Lì, con tanta voglia di fare l’anestesista, arrivò da Roma anche la futura moglie, Francesca Fabiani, figlia di una venditrice di cappelli in una bottega in via dei Prefetti, a bordo della sua Cinquecento rossa, con i capelli sciolti e i jeans, prendendosi tutti gli insulti dei paesani, preoccupati perché avrebbe portato via “lo scapolo più ambito della Maremma”.

 

Era “una donna coraggiosa”, scrive Teresa Ciabatti, e a un certo punto decise di abbandonare la professione per diventare la compagna di quell’uomo di undici anni più grande. Arrivò a farsi addormentare per un anno per curare la depressione e i figli gemelli potevano andare a trovarla ogni tanto. Il motivo di tutto questo, e di molto altro, Teresa non poteva saperlo, perché era troppo piccola: era la principessina di un re che le permetteva ogni cosa, era la gioia, l’orgoglio, il suo amore e voleva che tutti lo sapessero e che la invidiassero quando passeggiava con lui nel corso cittadino, mano nella mano, “solo lei, solo me, la più amata”. Con l’adolescenza, Teresa cresce, va a scuola, si confronta con gli altri, è una diversa, ne è consapevole e rivendica ogni giorno quella sua “specialità” al cospetto dei genitori. Crede di essere un genio, lo grida spesso, ma loro non replicano, “forse sta male, mancanza di ferro, è pallida”, borbottano. Scopre che il mondo la osanna solo per i suoi privilegi, non perché sia bella, simpatica e intelligente. All’improvviso le crollano tutti i castelli e non soltanto quello dorato che aveva costruito per le sue Barbie con i ventitré lingotti d’oro trovati in un cassetto, ma a cadere è soprattutto l’affetto, la stima e il rispetto che aveva per l’uomo che perfetto non era. Teresa Ciabatti lo scrive di continuo in questo libro costruito come un giallo, e ventisette anni dopo la morte di quel genitore, da medico benefattore, è per lei un uomo “calcolatore, vendicativo e amante del potere”, “un ateo, un bugiardo, un fascista, un uomo senza scrupoli e un massone”. Dov’era quel padre quando la madre disse “adesso basta”, l’inizio della loro fine? Dov’era “il Professore” quando i compagni di classe – al Buonarroti di Port’Ercole, prima, al pariolino Mameli poi – la prendevano in giro o non la consideravano affatto? Cosa c’entravano nelle loro vite Gelli, Almirante, la Monroe, Reagan e una società petrolifera? Perché quel padre perse tutto, fu costretto a vendere la villa per un miliardo di lire, se ne valeva sei, facendo svanire nel nulla i conti esteri? “Perché siamo diventati poveri?” si chiese allora e scrive adesso Teresa che nel frattempo mangiava ed ingrassava abbandonando per sempre il sogno di fare la ballerina. Nessuno le disse o spiegò nulla. Colpa sua se diventò un’adolescente “smodata, eccessiva e disperata”, se oggi è “agitata, sospettosa, inquieta e anaffettiva”, se non è mai andata a trovare i genitori al cimitero e se per tanto tempo non ha più parlato con il fratello.

 

Oggi Teresa Ciabatti ha dato forma letteraria alla rabbia e alla delusione, trasformando, a suo modo, queste pagine in un complesso atto d’amore. La bambina e la vita di prima non ci sono più, ma continuerà a esserci per sempre il suo desiderio di essere tenuta ancora per mano.

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