Perché non hai bambini? Curiosità feroce e niente pugni in faccia
Le domande inaccettabili e il senso del potere per i figli: ostacoli, termometri, bandiere
Ogni volta che qualcuno ha chiesto a Theresa May, pubblicamente, perché non ha avuto figli, lei invece di tirargli un pugno in faccia ha risposto. Ha tirato fuori il suo tormento, il dispiacere, l’ha dato in pasto al mondo: “E’ stato molto triste, quando abbiamo capito che per noi non era possibile”. Ogni volta che qualcuno chiede a una donna, di potere oppure non di potere, perché non ha figli, e come mai, e che cosa aspetta, oppure se le dispiace, e se ha dei rimpianti, queste donne rispondono. Non tirano pugni, sono abituate, rassegnate all’idea che sia una domanda accettabile. Non lo è. I figli fanno parte delle nostre vite, in presenza o in assenza, fanno parte anche del dibattito pubblico, sono origine e a volte conseguenza della percezione che gli altri hanno di noi, ma sono soprattutto persone (non bandiere e non cose di nostra proprietà) che esistono al di fuori di noi oppure che non esistono perché non sono nate: perché non abbiamo avuto figli. Stanno dentro i nostri rimpianti, felicità e pentimenti o anche semplicemente dentro un non desiderio, ma nessuno ha il diritto di chiedere perché, o di valutare diversamente il cammino della nostra vita: hai cresciuto un figlio o hai fatto solo regali ai tuoi nipoti? Ti sei alzata di notte per allattare o hai soltanto sofferto d’insonnia e hai fatto tutti i viaggi che desideravi? Sei diventato primo ministro, hai tutto questo potere perché non hai mai fatto l’inserimento alla scuola materna, perché senza figli è tutto più facile, sei stata più concentrata, però allora io adesso te lo chiedo, te lo faccio pesare, perché non puoi passarla così liscia. Theresa May, Angela Merkel (di cui un’avversaria politica ha detto: “Non pensa al futuro dei tedeschi perché non ha avuto bambini: io invece ne ho quattro”), e anche Emmanuel Macron a cui però nessuno fa questa domanda: perché ti sei innamorato di una donna più grande di te, che non poteva darti figli? Perché non hai dato un impulso alla natalità del tuo paese sposando una ragazza, facendo dei bambini? Macron aveva però anticipato le curiosità e anche le malevolenze verso sua moglie Brigitte, decidendo di rivelare qualcosa di molto personale, di unicamente personale: “La decisione di non avere figli fa parte delle scelte intime, che io ho fatto quando ero molto giovane, e in considerazione della differenza d’età. Una scelta che non era egoista ma che diceva un’altra cosa: quei tre bambini che Brigitte aveva, che hanno un padre e una madre, io potevo amarli senza togliere loro nulla”.
La libertà di raccontare di sé, per qualunque motivo politico o disinteressato, non ha niente a che fare con il diritto di chiedere, e soprattutto non è ammissibile né dignitoso costruire un’analisi della tendenza del potere in base al numero di figli, potere, che si raggiungerebbe più facilmente se non si devono cambiare pannolini, come ha scritto pochi giorni fa La Naciòn, quotidiano argentino, ma come leggiamo da anni su tutti i giornali, magari con le migliori intenzioni: spiegare alle donne che devono farsi avanti, non lasciare che le ambizioni vengano sotterrate dalla maternità, e nemmeno negarla, e nemmeno però trasformarla in un totem, e nemmeno accanirsi, e nemmeno rinunciare. Tutti spiegano come dobbiamo vivere e come invece non viviamo, tutti sospettano che ci sia qualcosa sotto: sotto i quattro figli di Ségolène Royal, ad esempio, un’esibizione di forza, quasi una specie di bullismo, sotto i niente figli di Angela Merkel un cinismo spietato, sotto Chelsea Clinton, figlia unica, l’ambizione sfrenata e la dedizione circoscritta di sua madre Hillary, che non avrebbe avuto mai il tempo di crescere un altro figlio. E’ un sospetto che riguarda solo le donne adulte, e le trasforma in qualcosa da osservare attraverso quella precisa caratteristica: figli o non figli. Gli uomini sono liberi da questa indagine, anche quando sono largamente responsabili, anche quando la sbadataggine o la paura o invece lo slancio hanno determinato in grande parte gli accadimenti legati all’avere o non avere figli. Tutta l’attenzione è concentrata altrove, sul corpo di una donna. Di Philip Roth nessuno direbbe: ha scritto molti libri perché non ha avuto figli, mentre spesso le scrittrici dicono, perché credono di dover ammettere, rivelare qualcosa: i libri sono i miei figli. I libri non sono figli e i figli non sono libri, ma la percezione collettiva di un’esistenza, e del suo cammino, ha sempre al centro, come un vuoto o come un pieno, bambini che crescono, adolescenti in conflitto, conteggio dei figli avuti dal primo e dal secondo matrimonio, come medaglie sul petto o come punti di un curriculum in cui non basta essere responsabili di ciò che si è e di ciò che si fa, ma bisogna mettere a nudo i desideri più intimi, o la totale assenza di essi, o anche gli inciampi, e perfino raccontare, non per volontà ma perché sembra che il mondo debba saperlo, che è stato molto triste scoprire di non poter avere figli, e che per fortuna ci sono tanti nipoti, e che però il dolore resta sempre accanto. Offrire il proprio dolore in cambio di una comprensione, di un’assoluzione sociale: è un ricatto, ma totalmente accettato. Perché non hai avuto figli? Perché eri troppo ambiziosa? E adesso non ti dispiace nemmeno un po’, non ti senti sola e triste? Poiché non è ammesso rispondere con i pugni in faccia, ma è ammesso invece mostrare curiosità feroci, in nome dell’abitudine, della denatalità, delle questioni sugli asili nido e sull’adozione, i figli sono termometri, alibi e bandiere. Esseri umani, molto dopo. Una questione privata, quasi mai.