Mia figlia sta finalmente leggendo il Diario di Anna Frank, grazie ai teppisti dello stadio
L'età delle coincidenze assurde e una grande scrittrice tredicenne
Ho scoperto che undici anni è l’età delle coincidenze. Niente succede così, tanto per succedere, ma ogni cosa coincide con un’altra. Mamma, che coincidenza, ho undici anni e ho appena visto undici cani, che vorrà dire? Mamma, ti rendi conto, sono andata a scuola per la prima volta con l’apparecchio ai denti e anche Tommaso ce l’aveva, identico al mio, e la prof. di geografia ha interrogato lui al posto mio. Mamma, oggi è entrata una farfalla dalla finestra proprio mentre stavo disegnando una farfalla. Ogni coincidenza viene commentata con la faccia stupita ed entusiasta di chi cerca la magia dappertutto, e lei in nome delle coincidenze spera di non essere interrogata, trova in tutti i film delle folli coincidenze con la sua vita, il suo gatto e suo fratello, che di solito è identico ai peggiori mostri del cinema mondiale. Tutto significa sempre qualcosa in più, e così l’altra sera Anna Frank è diventata molto più del Diario che da tre anni cerco di far leggere a mia figlia, dicendole che è il più grande libro mai scritto su una tredicenne, e che non si può attraversare l’infanzia con Geronimo Stilton e senza Anna Frank. Lei di solito risponde che non ha ancora tredici anni, e che è una storia troppo triste, ma l’altra sera finalmente ha cominciato a sfogliare la graphic novel del Diario, quella di Ari Olfman e David Polonsky, pubblicata da Einaudi: mi chiedeva se Anna, scappando nella soffitta, aveva abbandonato il gatto Moortje. Sì amore, non poteva fare altro, ho risposto. Lei era indignata e non voleva più leggere. Ma la tivù era accesa e il telegiornale (che bisogna guardare per ordine scolastico) ha parlato di Anna Frank, delle magliette allo stadio con il suo ritratto, ha mostrato il volto sorridente di Anna e quello meno sorridente di un allenatore di calcio. Mia figlia, con il libro in mano, è scattata in piedi urlando: “Che incredibile coincidenza!”, e non mi ha fatto nessuna domanda sulla polemica e sul perché portassero il Diario negli stadi, ma si è gettata nella lettura come se il telegiornale le avesse dato la conferma che sì, Anna Frank è più importante di Geronimo Stilton e che sì, in quel momento Anna stava parlando direttamente a lei.
Grazie a quella coincidenza, la ragazzina nella soffitta di Amsterdam è diventata sua amica. Grazie a una vicenda orribile che prende il via da quel che mi interessa meno al mondo, il calcio, mia figlia stava finalmente leggendo il libro che mi sconvolge e appassiona di più al mondo, il Diario di Anna Frank. Ho cominciato a credere alle coincidenze, le ho ringraziate nonostante la grave miseria del teppismo in Curva nord, e nonostante tutto il grottesco che ha provocato, come ha scritto Alessandro Piperno ieri sul Corriere della Sera (“E’ grottesco dire: ‘Siamo tutti Anna Frank’. Perché, Dio santo, è evidente che non lo siamo” ). A scuola, il giorno dopo, le insegnanti hanno parlato di Anna Frank, e mia figlia aveva il libro nello zaino perché voleva continuare a leggerlo durante la ricreazione. L’hanno sfogliato tutti, mi ha detto, e hanno fatto mille domande all’insegnante, e questa coincidenza ne ha accese altre, e chi non l’aveva a casa è andato a comprarlo: ancora una volta la bellezza del Diario e la forza di Anna, e la sua fiducia nell’umanità hanno superato la bruttezza intorno. Mia figlia dice che lei sa che Anna Frank è morta nel campo di concentramento, ma che si capisce, leggendola, che Anna pensava di salvarsi, “e così ha potuto scrivere il diario, essere felice qualche volta, innamorarsi, non morire di paura: lei dentro la sua testa pensava di essere unica, e che quindi ce l’avrebbe fatta, anche io penso le stesse cose, anche io avrei pensato che sarebbe finito tutto bene, che quella era una grande avventura”. La magia è accaduta di nuovo: Anna ha conquistato un’altra ragazzina, le ha afferrato i pensieri, come aveva fatto con me tanti anni fa, come fa dal 1947, quando per la prima volta il Diario è stato pubblicato. Non uno scrittore che si mette nei panni di una tredicenne, ma una meravigliosa scrittrice di tredici anni, che prima dei quindici aveva deciso che quello era il suo libro, l’avrebbe intitolato L’alloggio segreto. Un giorno Miep Gies, che rischiò la vita per nascondere otto ebrei nella soffitta sopra l’azienda di spezie, entrò mentre Anna stava scrivendo: “Le ero piuttosto vicina e stavo quasi per andar via quando lei alzò gli occhi e, sorpresa, mi vide. In quegli anni avevo visto Anne cambiare continuamente d’umore, come un camaleonte, ma sempre conservando un atteggiamento amichevole…ma in quel momento notai sul suo viso un’espressione che non avevo mai visto prima. Aveva un atteggiamento di grave e profonda concentrazione, come se stesse soffrendo di un mal di testa lancinante. Il suo sguardo mi trafisse e io rimasi senza parole. Improvvisamente, quella che stava scrivendo era un’altra persona”. Era una scrittrice che era stata interrotta, era una bambina eccezionale che a scuola passava il tempo della ricreazione a scrivere coprendo il diario con il braccio, era una ragazza che nell’aprile del 1944, quattro mesi prima dell’irruzione dei nazisti nella soffitta, scriveva: “E se non ho il talento di scrivere per giornali o libri be’, potrò pur sempre scrivere solo per me…voglio continuare a vivere anche dopo la morte!”. Tutte queste cose voglio raccontare a mia figlia, e dirle dell’ardore di Anna e della sua grandezza. Adesso, grazie a questa stupida coincidenza, finalmente lei mi ascolterà.