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Nipoti & centenari

Giacomo Giossi

Riusciranno i “nipoti di” a uscire da se stessi, e dalla comoda ombra, trasformando la società?

E’almeno dai tempi del Marchese del Grillo e della felice quanto al tempo stesso infelice battuta del “perché io so io e voi non siete un c…” nella versione Alberto Sordi-Mario Monicelli che in Italia i figli di rappresentano un’onorata e letteraria categoria, dedita sostanzialmente al sorpasso a destra, al maglioncino sulle spalle e allo studio notarile. Un audace splendore che lascia i figli di privi di pieghe improvvide ai pantaloni o polvere sui mocassini a pallini. E ancor meno sembra lasciarli indifferenti l’occasionale sfuriata che il padre spesso cummenda nella categoria illuminata dagli indimenticabili fratelli Vanzina o in alternativa professore nella versione di Ettore Scola rivolge loro, sfinito da quella vacuità.

 

Insomma i figli di rappresentano in Italia più che l’estrema sponda della famiglia, la vera, forte ossatura della comunità: cresciuti all’ombra di padri spesso grandi e alle volte addirittura nobili, i figli di hanno goduto e anche parecchio, ma hanno anche in fondo gestito e tenuto a bada pulsioni ben peggiori che oggi sembrano rivelarsi ben oltre il livello di guardia dello stile e del buongusto.

 

Va detto poi che in Italia l’accezione di figli di non sempre corrisponde a natali nobili, ma è stata sempre di questo paese la capacità – fino a oggi – di contenere nelle medesime categorie l’alto e il basso senza che questa contraddizione portasse a una vera separazione e a una sostanziale esclusione sociale.

 

Ma da qualche tempo qualcosa è cambiato e di figli di se ne vedono sempre meno.

L’avanzare del nuovo secolo e il restringersi evidente dei confini culturali e politici di questo paese insieme a una capacità demografica sempre più ridotta sta infatti producendo una categoria inedita, quella dei nipoti di. Figure icastiche e sempre sull’orlo dell’abbandono, i nipoti di sono forse i più diretti reduci di un Novecento glorioso per questo paese fatto di grandi riforme politiche e culturali e di visioni imprenditoriali spesso prese poi a modello anche nella celebrata Silicon Valley.

Tra i trenta e i quarant’anni i nipoti di spesso vivono appartati, veri e propri archivisti di una memoria famigliare esplosa sui libri di storia o sui giornali, ma ormai ridotta e confusa dalla pubblica pubblicistica. Nonne e nonni in fondo poco conosciuti su cui chiunque però sa dire di più e meglio di quanto i nipoti di saprebbero o vorrebbero dire. Ridotti in questa posizione interstiziale si trovano così schiacciati e al tempo stesso estranei alla loro storia.

 

Tuttavia proprio la loro delicata fragilità rappresenta un punto di collegamento con una delle ricchezze più straordinarie di questo paese ossia i centenari. Racconta infatti in A spasso con i centenari (Il Saggiatore, 166 pp. 16,00 euro) Daniela Mari, docente di geriatria alla Statale di Milano e sorprendente narratrice, come proprio queste figure così capaci di invecchiare bene rappresentino un elemento più legato al futuro che al passato del nostro paese. I centenari sono infatti la migliore traduzione dell’esperienza visionaria di una società che invecchia più nel ceto anagrafico medio dalle abilità ridotte che nei centenari ancora capaci – anche con il proprio corpo invecchiato – di una forma viva di utopia. Riuscire a stabilire una connessione con i centenari significa al contrario di quanto si potrebbe pensare, agire per il ringiovanimento della società.

 

L’arte di invecchiare bene, come recita il sottotitolo del pamphlet di Daniela Mari, passa anche attraverso la capacità di mantenere attivo il proprio corpo. Gli anziani e più ancora i centenari vanno visti come allo specchio rispetto alle esigenze e alle possibilità dei nipoti, perché se i primi devono necessariamente rivolgere internamente ossia al proprio corpo le loro attenzioni, i secondi devono uscire da se stessi trasformando la società. E forse nessuno come i nipoti di potrebbe oggi in Italia cogliere l’essenza di un esercizio paziente di ascolto e di recupero di un’identità viva perché elemento genetico della propria memoria e non perché semplice decodifica di pagine spesso deformate se non dimenticate.

I nipoti di spesso hanno reazioni imprevedibili, passano dalla tenerezza alla durezza, ma nel velo che appare sullo sguardo non c’è solo il peso di una distanza dalla verità che si fa dolore intimo, ma anche la tristezza di una società che non sa più riconoscersi nel suo passato come fosse cosa viva.

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