Per un millimetro
Poteva succedere a noi, non doveva succedere a nessuno. “Avevi detto che i ponti non crollano mai”. I pensieri impigliati lì per sempre. Le nostre vite saldamente sospese nel vuoto
Poteva succedere a noi. Non ci è successo. A tutti noi saldamente sospesi nel vuoto. A noi in vacanza, che percorriamo tutti i ponti esistenti per vedere il maggior numero possibile di città, d’estate, in pochi giorni affannosi, per recuperare gli inverni perduti dentro casa, al sicuro. Oppure a noi che non andiamo in vacanza ma attraversiamo i ponti per lavorare, ogni mattina, con il sole e con la pioggia, anche a Ferragosto. Poteva succedere all’uomo che ha visto le altre auto superarlo e scomparire, e si è fermato, ha inchiodato, ha messo la retromarcia ed è scappato a piedi, urlando a tutti di andare via. Il ponte è crollato e tutti noi, su altri ponti, su altre strade, su quello stesso ponte un minuto prima o un minuto dopo, siamo sgomenti di fronte al millimetro che ci ha salvato, per questa volta, e che non ha salvato persone, uomini, ragazze, bambini, coppie, padri, una famiglia che andava a prendere il traghetto per la Sardegna, con il pallone in auto, l’ombrellone per le spiagge libere e le canzoni alla radio, a Ferragosto. I pensieri di chi attraversava il ponte Morandi ed è stato inghiottito dalla sciagura sono ancora tutti là, possiamo sentirli. Le valigie nel baule, ma avrò lasciato i costumi da bagno sul tavolo della cucina? Voglio dimenticarmi di quell’ufficio per dieci giorni. Consegno tutte queste bottiglie d’acqua e torno a casa, non ne posso più. All’autogrill voglio comprare qualcosa per i miei figli, e stasera li porto a mangiare la pizza. Le mando un messaggio, la amo ancora. Che pioggia assurda, a Ferragosto, non si vede niente.
Mamma, ma i ponti non crollano mai? Me lo ha chiesto mio figlio il 13 agosto, mentre attraversavamo in auto il ponte Vasco Da Gama, a Lisbona, sopra il fiume Tago: lungo diciassette chilometri, bellissimo, è il ponte più lungo d’Europa, dedicato a chi ha scoperto nuove strade nel mondo, a chi ha fatto una grande opera per l’umanità. Lui ce lo ha chiesto e noi gli abbiamo risposto: certo che no, i ponti sono fatti per non crollare, non lo vedi che è tutto di cemento e di acciaio? Anche se io ogni volta, segretamente, ho paura.
Ho paura dei ponti, ho una grande paura dei tunnel, ho paura di quel millimetro che separa la vita che scorre dalla sciagura. Ho un brivido ma mi affido al cemento e all’acciaio, mi affido agli uomini che hanno progettato, costruito, immaginato qualcosa che non crollerà. Sopra cui correranno le nostre vite e i nostri pensieri, senza restare impigliati lì per sempre, come invece è successo a Genova.
A una donna di trentaquattro anni sulla sua Opel nera, da sola. A quattro amici che avevano deciso di non prendere più l’aereo per la Spagna, ma di andarci in macchina, tutti insieme. E’ il millimetro che non salva, la coincidenza sbagliata.
Ma avevi detto che i ponti non crollano mai, hanno detto i bambini, costernati di fronte alle immagini di Genova. Avevi detto che era impossibile, e invece è successo. Non è successo a noi, e poteva succedere a noi. Quante cose da quando loro sono al mondo ho detto che erano impossibili, che non succedono mai, che possono stare tranquilli, e invece poi sono successe. Non le voglio contare, sono tante.
Era impossibile, ho risposto: è stato uno sbaglio, anzi molti sbagli, troppi errori appiccicati insieme, come una valanga. E dentro quegli sbagli sono rimasti impigliati i pensieri di chi attraversava il ponte. Samuele aveva otto anni e forse pensava al traghetto per la Sardegna, che è già un’avventura, è un pezzo di viaggio. I quattro ragazzi francesi ventenni: andavano a un concerto techno in Sardegna, e li hanno identificati solo grazie ai piercing. I due ragazzi albanesi tornavano dal turno di lavoro in una ditta di pulizie, forse pensavano di farsi almeno un bagno a Rapallo: per adesso, quando esce il sole, e comunque il mare in Albania è più bello. Se si fossero attardati, se avessero cambiato strada, se avessero spostato il turno. Tutti i superstiti dicono: non so come ho fatto a salvarmi. E’ un millimetro. Eri stanco. Hai cambiato idea. Hanno cambiato idea gli altri. Pioveva troppo. Ti sei dimenticato una cosa in ufficio. Sei tornato indietro a prendere il telefono. Hai litigato e hai detto: non parto più. Hai pianto, ti sei chiusa in bagno, e hai deciso di andartene un giorno prima. Di cambiare strada. Ti è venuta la febbre a Ferragosto. Ti sei fermato in un autogrill a dormire mezz’ora perché eri troppo stanco.
Una madre e il suo bambino di dieci anni dovevano passare proprio da lì, forse proprio in quel momento. Ma erano partiti da Pontremoli e si sono fermati per strada a fare un bagno, loro due soli, senza dirlo a nessuno. Il padre terrorizzato li ha chiamati al telefono per un’ora, e loro non rispondevano perché erano in mare. Su whatsapp non compariva mai la doppia spunta blu. Erano salvi senza nemmeno saperlo. Per un’ora, per dieci metri, per non avere superato quel furgone, per avere fatto retromarcia: per un millimetro sei salvo. Per un millimetro, il contrario: una palla e un ombrellone fra le macerie. La ragazza cercata per tutto il giorno dagli amici e dalla famiglia, e ritrovata laggiù dentro la sua Opel Corsa nera.
Ma tu ci avevi detto che i ponti non possono crollare.
L’avevo detto, lo penso ancora, e quindi adesso non so più che cosa dire. I ponti non stanno dentro l’imponderabile, non appartengono al destino, al caso, al millimetro che ti salva o ti abbandona. I ponti io li fotografo sempre, perché mi danno i brividi. Poteva succedere a noi, e non doveva succedere a nessuno.