L'eroina ovunque
Antonella Lattanzi dentro la vita tossica di San Lorenzo, giù fino in fondo per raccontare tutto
Calvino scrive che quando racconti di qualcosa che hai visto, della “violenza che le hai fatto scrivendo, la memoria non si riavrà più”. Anche a me è successo. E’ passato del tempo da quando, per anni, ho condotto le ricerche per il mio primo romanzo, Devozione, storia di due tossicodipendenti da eroina nel quartiere San Lorenzo, a Roma. Era il 2006, e io sapevo che l’eroina non era morta. Ma sembrava che lo sapessi solo io. Lo dovevo raccontare. Come potevo fare? Mi dovevo fingere un’eroinomane. Lo potevo, lo sapevo fare. Ho passato così tanto tempo a fingere, a raccogliere materiale, ma poi altrettanto tempo a selezionare la memoria, a inventare trama, personaggi, che dopo l’uscita di Devozione mi è parso di dimenticare. Non ricordo più quanto costava un pezzo di roba. Non ricordo più i nomi degli spacciatori. Ma adesso, come il clown di It, il male è tornato, o semplicemente non è mai andato via. Adesso devo ricordare.
Ero un’universitaria e vivevo nello studentato di San Lorenzo. La sera uscivo nel mio quartiere. L’eroina era dappertutto. All’università, nello studentato, nel parchetto di via Tiburtina, davanti ai bar di San Lorenzo, nella piazza dell’Immacolata. Non potevi camminare che t’investivano gli spacciatori, di tutte le nazionalità, le religioni. L’eroina si tirava e si sniffava. Si faceva in vena, non è vero che in vena non si faceva più. I ragazzi facevano la colletta tutto il giorno. Come si trovano i soldi per farsi di eroina? I soldi per farsi di eroina si trovano sempre. E’ una forza – oscura – incredibile quella che ti dà la dipendenza. Ti devi fare. I soldi li devi trovare. Li vedevi arrivare, i ragazzi che si facevano di roba, da tutte le classi sociali, da ogni livello culturale, da tutte le parti d’Italia. La pubblicità progresso degli anni Ottanta ci aveva insegnato che “chi ti droga ti spegne”. Questi ragazzi lo sapevano. Non erano come Christiane F., inconsapevole di cosa fosse davvero l’eroina. Questi ragazzi sapevano tutto. Eppure si facevano. Con la leggerezza di una prima sniffata in compagnia, come si beve una birra. O con la determinazione di una passione per la vita. Questi ragazzi viaggiavano, da Roma a Napoli a Bologna, per trovare l’eroina migliore, o più a buon prezzo. Questi ragazzi lontani o vicini alle famiglie, e le famiglie che non vedevano niente, oppure vedevano tutto e li mandavano in comunità o li muravano in casa, oppure non sapevano che fare e non facevano niente, speravano nel Signore o nella Fortuna, oppure impazzivano dietro a quei figli e morivano anche loro. Neri, bianchi, romani, Sud, Nord, gli spacciatori sapevano tutto. Come avvicinarti, come abbindolarti, come fregarti, come ammazzarti. E quei ragazzi avevano pure dei sogni da ragazzi – un cd, una pizza, diventare un architetto – ma a loro quei sogni venivano negati.
Perché l’eroina spalancava le sue fauci, si vedevano i denti da vampiro e se li mangiava vivi, come It. E io impazzivo dietro di loro, insieme a loro, e ancora oggi mi chiedono ma non ti è venuta voglia di provare? Io dovevo vedere, dovevo sapere tutto, non mi dovevo fermare, dovevo raccontare. Perché tutti dov’erano? I ragazzi si addormentavano fatti alle lezioni. Entravano trascinando i piedi e grattandosi il naso con gli occhi semichiusi nei bar. Si chiudevano nei bagni di casa loro e ne uscivano improvvisamente rinati. Che fa, mi chiedevo, quella cosa che deve esistere da qualche parte e che chiamano società per queste morti? Per queste vite che se anche se non muoiono, poi dove la trovi la forza di essere una persona normale, dopo che per anni ti sei protetto dentro l’eroina? E perché, mi chiedevo inseguendoli per le vie di San Lorenzo, negli antri bui dove tiravano fuori le siringhe o la carta stagnola per fumarla, e poi anche in mezzo alla piazza, ché erano così tanti che, “mica ci possono arrestare tutti”, perché si facevano? Io ci ho vissuto tanti anni dentro questo mondo. Eppure una risposta sola non si può dare. Perché uno fa un figlio o non lo fa? Perché uno ama una persona o non la ama? Con che coraggio viviamo con la consapevolezza che moriremo, che ci saranno o ci sono giorni così bui da perderci la testa, e che passeranno, forse, ma poi potranno tornare? Chi, in coscienza, può dare una risposta?
Ognuno si droga per un motivo suo. Ma la dipendenza è una parola nostra. E, io lo so, ne sono sicura, l’eroina è una parola nostra. Una mattina ho visto una ragazza che si faceva al sole, seduta su una panchina, nel parchetto. E quella ragazza non era vestita strana, non aveva una faccia strana, potevo essere io. Ha alzato la testa, mi ha guardato. Adesso devo ricordare. La potevo aiutare? Adesso devo ricordare. L’ho guardata, ho rallentato, voleva dirmi qualcosa? quel giorno non ho avuto il coraggio. Anche io, sono passata oltre.