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MAMMAMIA!

Valentina Furlanetto

Elogio della madre polpetta in un indispensabile manuale che illumina i padri e si fida di loro

La “mamma polpetta” fa quel che può. Non è inflessibile e autoritaria come la “mamma tigre”, non è tanto devota al figlio da diventare rancorosa come la “mamma coccodrillo”, non antepone ai bisogni del figlio i suoi come la “mamma narciso”. La “mamma polpetta”, al centro del libro “Mammamia!” di Paola Maraone e Alessandra Di Pietro (Baldini+Castoldi), è arrivata alla semplice quanto essenziale conclusione che “ogni mamma fa quel che può”. La “mamma polpetta” si districa e ci aiuta a districarci in questo mondo genitoriale attraverso ottantotto capitoletti, come i tasti del pianoforte a volte seguendo lo spartito a volte improvvisando. Perché è lì il trucco: regole ferree e una ferrea capacità di trasgredirle.

  

“La sfida della mamma polpetta – scrivono Alessandra e Paola – sta nel trovare il giusto mix per tenere la barra dritta tra educazione autoritaria ed evanescente. Storicamente quando i bisogni del bambino si scontravano con quelli dell’adulto, i bisogni dell’adulto avevano sempre la meglio. Più di recente, nell’arco delle ultime due generazioni, abbiamo assistito a un’inversione di tendenza: bambini sempre più potenti, arroganti, “viziati”, che sembrano negare “i bisogni dei genitori”.

  

“Ogni mamma fa quel che può” sembra una conclusione facile, invece è il frutto di un peregrinare inquieto e mai sazio fra consigli di mamme, suocere, pediatre, pedagogisti, ostetriche, saggi e manuali. E soprattutto è il risultato di aver avuto a che fare con cinque esseri umani in crescita che ti mettono davanti tutti i giorni la pratica dopo che hai studiato la teoria. Lo spartito può essere facile, ma poi prova tu a suonare il pianoforte.

  

E quindi “la via tutta italiana per allevare figli felici ed essere un genitore sereno” – come recita il sottotitolo – passa attraverso una serie di svincoli inevitabili e atroci (provati per voi) come la deriva etilica al metodo Estivill (ce l’ho!) pezzi di slime appiccicati al soffitto (ce l’ho!!) e lo slalom tra le chat dei genitori di basket e quelle dei genitori di scuola (ce li ho!!!).

 

Uno degli aspetti più teneri e apprezzabili del libro è la luce che riverbera sui maschi. Il Pupo che vuole fare il supereroe, ma lascia aperta una porta alla tenerezza prendendosi cura della bambola Elisa, è gemello di mio figlio che incessantemente ripete le due ambizioni della sua vita: “Diventare come Batman e essere un bravo papà”. Non c’è contraddizione, ma il mondo non sempre è pronto ad accogliere la complessità.

  

Le autrici sono generose anche nei confronti dei maschi adulti. Nonostante Paola e Alessandra abbiano avuto – come tutte – i loro percorsi a ostacoli con gli uomini, gettano su di loro una luce di complicità e di ammirazione. Pur nelle traversie sentimentali che accompagnano queste famiglie (più che allargate sono elastiche, tanto che la bambina di Paola a un certo punto dice “Io sono il filo, voi siete le perline, vi tengo assieme. Perciò non devo rompermi, o scivolerete via”), gli uomini sono molto centrali, quelli attuali, ma anche quelli passati, che non ne escono né ammaccati né sminuiti.

  

Sono uomini autorevoli, simpatici, presenti, che non si sottraggono. Magari sono stati inadeguati o deludenti come compagni, ma sono dei padri. Quando Alessandra, messa a dura prova dal figlio, perde la pazienza e gli tira uno schiaffo, è l’ex marito che prende in mano la situazione e dice la cosa più sensata: “Non è mai successo e speriamo non succeda mai più, ma se l’hai fatto vuol dire che ce n’era bisogno, ne parliamo stasera, passo a trovarvi”. Che in una riga e mezza condensa molti concetti: abbiamo delle regole, rispettiamole, mi fido di te, ci sono sempre.

  

Quando la famiglia si spezza e la bambina va in crisi è ancora il padre a intervenire e, dolce ma fermo, le parla. Ed è sempre il padre (non più compagno/marito, ma pienamente padre) che impone alla madre di placare la sua ansia quando il figlio adolescente va a scuola senza cellulare (“‘Come fa a tornare senza cellulare?’ ululai. E lui sornione: ‘Sarà come negli anni Ottanta, se siamo sopravvissuti noi sopravviverà anche lui. Tagliamo questo cordone ombelicale’”).

 

C’è un grande rispetto e una solida stima per questi uomini. E c’è una grande intelligenza in queste donne, che non presentano il conto, ma concedono l’onore delle armi. E delegano: “Una madre non può tutto – scrivono le autrici – Dove non arrivo io c’è il padre e talvolta uno zio, una nonna, un’amica”. D’altra parte per crescere un bambino secondo un proverbio africano ci vuole un intero villaggio, un comportamento utile e anche furbo che “ci solleva dalla titolarità esclusiva e assoluta del fallimento (ma pure del successo)”. Se gli esseri umani valgono tanto o sbagliano tanto “è perché sono figli di tutti”.

 

Anche se spiaccicano lo slime sul soffitto. Che sollievo.

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