Poi arriva Halloween, e i mostri mi inseguono urlando: non ce la fai

Annalena Benini

I giorni dell’anno in cui nel cervello resta accesa solo la spia rossa della recriminazione

Poi arriva Halloween, il sangue finto sulle facce dei miei figli e dei loro amici, il mantello da fantasma addosso al cane che si gratta disperato, e i pop corn rovesciati e calpestati dentro casa che corrono dietro al mio malumore, come i mostri di questa festa che non mi mette mai allegria. Mi sono sempre annoiata a Carnevale, divento triste alle serate in maschera di ogni tipo, soprattutto quelle a tema: revival, ma anche: cinema, e ho il terrore delle feste di Halloween con le madri che parlano di compiti indossando un cappello da strega che cade sugli occhi, mentre i bambini zombie con il raffreddore (a Halloween hanno tutti il raffreddore, quindi le facce sono impiastricciate non soltanto di trucco da mostro) si lanciano i wurstel a forma di dita mozzate. Ma penso che forse non è Halloween, non sono quelle disgustose caramelle a forma di occhio, non sono le ragnatele e i pipistrelli finti, che comunque non mi offrono nessun tipo di catarsi: sono io che mi preparo a qualche guerra, o che ne ho appena persa una. Questo è il periodo dell’anno in cui litigo urlando con gli automobilisti e spero che scendano dalla macchina per picchiarmi così posso tirare fuori dalla borsa un’ascia, o più probabilmente una matita, e ficcargliela negli occhi. Questo è il periodo dell’anno in cui mia figlia mi guarda piena di disapprovazione, questo è il periodo dell’anno in cui io guardo lei piena di disapprovazione, e questo è il periodo dell’anno in cui mio figlio non dice niente, ma ci guarda cercando il momento giusto per interrompere gli sguardi di disapprovazione e chiedere cinque euro, o anche dieci.

   

In questi giorni mi sento anch’io uno zombie, cammino barcollando con le braccia in avanti e le occhiaie verdi, i vestiti strappati, i tacchi consumati, i capelli stregati, il pallore anche di tutti gli organi interni compreso il cervello (rimane accesa soltanto la spia rossa della recriminazione), e tutti gli spiriti maligni, i vampiri, gli scheletri, i diavoli, mi inseguono, ma con calma, per dirmi: non ce la farai. Non ce la farai a resistere allo sguardo di disapprovazione di tua figlia senza urlarle: non ne posso più. Ma ti ricordi, mi dice adesso uno di quei diavoli femmina un po’ ammiccanti con il vestitino rosso e le corna rosse e un forcone rosso, ti ricordi quando tua madre ti urlava: non ne posso più, e tu pensavi, con gli occhi di pietra che ha adesso tua figlia: ma di cosa sta parlando in quel modo scomposto, ma perché è sempre così tragica? Sì, me lo ricordo come se fosse ieri, ma non resisto, mi sento tragica, devo sfogare la tragedia. Non ce la farai a portare il cane dal veterinario senza gridare a tutti che se non ci pensi tu questo cane muore, muore ammazzato dalla vostra incuria (e anche il cane mi guarda, ormai un po’ stupito dal senso del tragico e soprattutto dal mio tentativo di scaricare sempre le colpe addosso a qualcun altro, e io allora gli dico che comunque è un cane ingrato e che forse il suo posto era il canile, e che non deve guardarmi mai più). Non ce la farai a dire: no, no e no, a tutte le richieste assurde, alle telefonate moleste, a quello che suona alla porta e dice: sono del gas, ma non è mai del gas e mi chiede di firmare un nuovo contratto del gas pena l’uccisione di tutti i membri della mia famiglia, no al posto finestrino in treno schiacciata contro il finestrino da un uomo che si mangia le unghie e le sputa, non ce la farai a non essere in ritardo, a non dimenticarti sempre qualcosa di fondamentale, a non perdere documenti importanti, non ce la farai a non mostrare il tuo lato peggiore quando sarebbe importantissimo fingere di possedere soltanto quello migliore. Più di tutto, mi ululano dietro i mostri e le altre streghe a forma di madre alle feste con cappello: non stai lasciando un buon ricordo. Non sei la madre fantastica che volevi sembrare (sembrare, non essere: sembrare per me era già abbastanza). Metti il muso, non ascolti, ti arrabbi se il tema da fare a casa è venuto striminzito, ti arrabbi se i tuoi figli non hanno fatto la doccia, ti rifiuti di travestirti a Halloween, dici in continuazione: sono molto preoccupata, sei ostile in un modo violento verso gli youtubers, non cerchi in nessun modo di capirli, dici solo: spegni quello schifo mi scoppia la testa, e diventi pazza quando telefoni, come d’accordo, e tua figlia da sola per la città ha il cellulare spento. Perché avevi il cellulare spento? Non era spento, guarda! Era spento! No! Ti dico di sì, non prendermi in giro! E così per ore e ore, fino almeno alla fine di novembre, il mio mese spaventoso, il mio mese da zombie.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.