L'euforia che manca, e lo specchio in cui guardare i Natali passati
Un giorno ti svegli ed è tutto cambiato. L’adulto sei tu, che però non sai fare i tortellini
E adesso che a casa abbiamo fatto davvero l’albero di Natale finto innevato, con le lucine bianche e verdi che si sono fulminate tre volte perché mio figlio le mette in modalità discoteca di Riccione, adesso che a Bologna nevicava davvero e quindi il treno su cui viaggiavo si è fermato per un’ora, adesso che non ho ancora comprato nemmeno un regalo, per la prima volta nella storia dei Natali, mi guardo allo specchio e penso a che cosa mi manca (a parte andare dal parrucchiere e tutto il resto che continuerò a non fare finché non mi si staccheranno all’improvviso pezzi di faccia e di corpo).
Non sento l’euforia dei passati dicembre, non ho nascosto dentro la lavatrice nessun pacchetto, non ho più cercato di convincere qualcuno che però Babbo Natale esiste. Mi sono arresa al Natale degli altri, ribellandomi soltanto alla richiesta del Nintendo Switch, che non so cosa sia ma mi sembra troppo assurdo (allora mi regali un pappagallo? No. Allora un cavallo? No. Allora due gatti? Adesso no. Ma allora scusa che Natale è? Non lo so, dammi due giorni per pensarci e poi ti rispondo, intanto fila a letto). Davanti a questo specchio, perfetto per confrontare le rughe con quelle dei Natali passati, anche se non era esattamente lo scopo di Dickens, ho capito che mi manca tutta quella speranza di prima. Quando il Natale era per me.
Quando pochi giorni prima di Natale mia nonna aveva iniziato a cucinare già da un mese, sopra l’asse di legno sopra il tavolo di formica, e io non avevo tempo di imparare quello che lei voleva insegnarmi. Troppa speranza, molto futuro, i tortellini me li insegni il prossimo Natale, nonna. Ho imparato soltanto a chiuderli, l’unica cosa che so fare è chiudere i tortellini, ma chiudere i tortellini non basta per essere euforici a Natale. Una nonna cucinava, l’altra nonna mangiava e portava il pandoro, e se non era troppo preoccupata per qualcuno di noi, raccontava. Ma io dovevo telefonare, uscire, scappare, partire, vivere. I giorni di Natale erano tutti miei, tutti fuori, tutti in attesa di qualcosa di grande che sarebbe arrivato. Il mio scopo la notte di Natale era ottenere il permesso di tornare a casa tardissimo. Immaginavo che succedessero cose meravigliose, in giro la notte di Natale, e non potevo sopportare che succedessero mentre io dormivo. Adesso che non uscirei di casa per niente al mondo, penso alle luci dell’albero di Natale di tanti anni fa, che non si rompevano mai, e neanche le palle di vetro fragilissime si rompevano mai, com’era possibile? Io rompo tutto, perdo tutto, penso con ansia a questa grande fatica di ordinare i tortellini, e poi però sono felice quando ogni Natale diciamo: certo non sono come quelli della nonna. E tutti scuotono la testa: certo che no, non sono come quelli della nonna. Non saranno mai più come quelli della nonna. Anche se fossero più buoni, che è impossibile, non avranno mai la stessa speranza di quelli della nonna. E’ quella che mi manca, adesso che vorrei il Natale che piaceva a lei. Adesso che dipende da me, non da lei: gli adulti siamo noi, ma finché i bambini sono molto piccoli, non si nota la differenza. E’ già molto riuscire ad accasciarsi sul divano a mezzanotte, è già molto avere caricato la diciottesima lavastoviglie. E’ già molto non avere assunto le sembianze di una lavastoviglie. E’ già moltissimo che nessuno abbia la febbre a quaranta. Poi un giorno ti svegli e il Natale è tutto cambiato. Non lo sai più raccontare, manca qualcosa. Non sai neanche spiegare perché il Nintendo Switch non ha senso, sai solo che dirai di no. E’ troppo tardi per riuscire a fare i tortellini buoni come quelli là, ma tutto il resto si può ancora imparare. Soprattutto la cosa più difficile: sei tu l’adulto. Sei tu che devi insegnare. Raccontare. Aspettare. Sei tu che devi rendere bellissimo questo Natale.