Sul pullman pieno di benzina, ecco i ragazzini che ci salveranno
Signore, non possiamo perdere la vita. E poi: io ti amo! Per fortuna il mondo è loro
Mamma siamo in un pullman e ci stanno uccidendo, ha detto Adam a sua madre, al telefono, e lei non capiva e non ci credeva (“perché in effetti io faccio spesso degli scherzi”, ha raccontato, dopo, Adam) e lui le diceva: ti prego aiutami. Ci stanno portando via, in un posto sconosciuto. Ma questi bambini di seconda media, dodici anni, avevano già chiamato i carabinieri, prima Ramy e poi Adam, e Adam ha detto al carabiniere che gli chiedeva altri elementi: Certo, certo signore però la prego chiama qualcuno, non è un film questo, non possiamo perdere la vita. E ha cercato di spiegargli dov’erano, in cinquantuno, legati, su un pullman diretto verso Linate, alla guida un uomo che aveva costretto la bidella, puntandole un coltello, a vuotare due taniche di benzina nel corridoio del pullman, e che a ogni frenata minacciava di dare fuoco a tutto, con le salviette impregnate di benzina sui finestrini, e diceva di voler vendicare le tre figlie morte in mare. Quando è riuscito, forzando il posto di blocco, a dare fuoco all’autobus, i bambini si erano già liberati e stavano correndo fuori, uno di loro ha urlato: ti amo, io ti amo! Ti amo al mondo, ti amo alla libertà, ti amo a una compagna, ti amo a tutti quanti, che sono stati eroici, fortissimi, e parlavano ad alta voce perché l’autista non sentisse che Ramy e Adam stavano chiamando aiuto. Ramy ha raccontato tutto a suo padre in arabo, fingendo di pregare, e il padre è corso dai carabinieri. Un altro bambino è riuscito a liberarsi dalle fascette (legate larghe apposta a quelli non delle prime file) e a raccogliere il telefono caduto per terra. Ognuno ha fatto la sua parte, anche i segni verso le altre auto con le dita, uno uno due, chiamate il 112. Facevano il gesto della pistola con le dita, ma nessuno ha capito. Nessuno prende sul serio dei ragazzini in pullman, anche se stanno salvando il mondo e stanno provando a spaccare i finestrini a calci. Ramy è andato dall’autista, gli ha chiesto: perché lo fai, lui l’ha guardato e non ha detto niente.
Questi bambini sono stati sequestrati, minacciati, legati, insultati, a uno di loro è stato puntato addosso il coltello, l’autista ha detto: da qui non esce vivo nessuno. Si sono fatti forza tra loro, protetti tra loro, salvati tra loro. Avevano paura, certo, piangevano, ma non erano inermi, sapevano esattamente che cosa stava succedendo, e che “non possiamo perdere la vita”, sapevano che i carabinieri non dovevano sparare perché sarebbe esploso tutto, sapevano che un uomo al volante non può controllare tutto, e che le fascette larghe si possono sfilare, e che i cellulari si possono nascondere. Sapevano che si può reagire e che bisogna restare calmi. Sapevano che ai genitori bisogna prima di tutto spiegare che non è uno scherzo.
Noi preoccupati per il futuro, e perché usano troppo i telefoni, troppo i videogiochi, noi pieni di distinzioni, di paura e di ragnatele, e loro pronti a salvare la vita anche agli adulti, e però costretti alle domande dei giornalisti: ti senti italiano?, e anche: ma l’autista parlava di Salvini e Di Maio? Loro sventano una strage, una strage di bambini, scendono dal pullman urlando ti amo, spiegano nei dettagli che cosa è successo e che cosa sono riusciti a fare, ci tranquillizzano, ci consolano, ci danno speranza e sollievo, e noi continuiamo a dividerli, usarli, tentare di strumentalizzarli in una piccola stupida guerra che loro non hanno mai neanche immaginato. Ma poiché il mondo non è più nostro, e sarà invece di Ramy Adam Riccardo e tutti quanti, possiamo sperare di farcela.