Fermare il tempo in questo punto della vita, per sbagliare meglio
I dodici biberon, i ricci biondi, l’acqua negli occhi e le stupidaggini che ci tormentano
Fermare il tempo. Ci penso spesso. Almeno da quando mi sono accorta che i capelli di mio figlio non sono più biondi e ricci, ma castani e lisci, e io guardo le foto di quando lui era biondo e riccio e non mi ricordo più la sensazione che provavo nel prenderlo in braccio, così rotondo e morbido e con quei riccioli d’oro che ho conservato in una scatolina bianca, e mia figlia l’ha trovata ieri sera, l’ha aperta, ha fatto una smorfia e ha detto: mamma, che cosa horror.
Sono passati quasi dieci anni, e quei capelli adesso sembrano i capelli di una vecchia bambola assassina: mio figlio non li ha riconosciuti, anzi ha cercato di colpire selvaggiamente sua sorella che voleva metterglieli in testa, e quindi intorno a questa scatolina bianca si sono scatenati molti pensieri diversi: per me è il tempo perduto, per loro l’incubo di Hill House, per il cane qualcosa di disgustoso da non mangiare assolutamente.
Quando quei ricci biondi erano attaccati alla testa di mio figlio, mi chiedo ora, io ero diversa da come sono adesso? Ero più felice? Avevo più speranze? Ma soprattutto, anche se sinceramente mi sembra impossibile: mi struccavo prima di andare a dormire? E poi la notte dormivo? Non mi ricordo niente, tranne che mio figlio riccio e biondo e paffuto, ora trasformato in un ragazzino magro con un ciuffo castano che gli copre gli occhi, voleva sempre latte, latte, latte, e la notte urlava latte e svegliava tutti, noi gli portavamo il latte e lui dopo due ore ne voleva ancora e urlava di nuovo, e allora io una sera gli ho detto: vuoi il latte? ti lascio qui accanto dodici biberon pieni, ma tu smettila di urlare.
Dodici è un numero di fantasia, ma ha funzionato e allora forse io a quel punto la notte dormivo, ma non riesco a ricordarmelo, penso invece che da quando nessuno mi ha più svegliato urlando, io ho smesso di dormire. “Mai dormono le madri, e in ciò sono uguali alla povertà”, solo questo verso di Vincenzo Cerami mi ricordo, e mi ricordo anche una cosa dolorosissima: che siccome mio figlio biondo e riccio era piccolo, mia figlia di tre o quattro anni mi sembrava grandissima, quasi adulta, e allora le facevo discorsi da grande e mi aspettavo da lei comportamenti maturi, come ad esempio che non avesse alcuna paura quando le lavavo i capelli dopo il bagnetto con il telefono della doccia. E lei invece aveva paura dell’acqua negli occhi, anche se al mare stava sempre sott’acqua. Ma lì nella vasca era diverso, aveva paura delle gocce, e diceva: non voglio, e io le dicevo, convinta: hai tre anni, sei grande, non puoi avere paura. A ripensarci adesso, mi chiedo: ma come potevo essere così stupida? Era perché non dormivo la notte? Se potessi fermare il tempo qui, in questo punto della mia vita, e restare così mentre gli altri crescono, penso che magari finalmente la smetterei di essere così stupida. Perché adesso mi sembra di capire tutto, e invece sicuramente mi sfuggono tantissime cose mentre i giorni volano via implacabili: io capisco sempre dopo quello che avrei dovuto dire e fare. Quello di cui avrei dovuto soltanto ridere, anche. Quello su cui mi sarei invece dovuta ostinare (ad esempio il nuoto per tutti e due, anche se erano guerre di odio, di otiti e di phon e di madri ferocissime).
Adesso mi ascolto mentre dico a mia figlia: ma insomma sei grande, e poi penso: ma che fretta ho, che me ne importa?, e allora davvero mi servirebbe solo qualche anno in più per imparare a sbagliare meglio. Io che resto uguale, ma meno stupida, loro che cambiano i capelli la pelle il corpo la faccia, gli amici, le stanze, e così non mi perdo niente, non mi dimentico niente, non mi pento di quasi niente. Stamperei tutte le foto, mi struccherei tutte le sere, farei tutte le telefonate, e dormirei la notte.