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I nostro codici

Simonetta Sciandivasci

Non cambiare pin, marito, capelli, e mai chiudersi in bagno. La sicurezza secondo mia madre

Mia madre ha lo stesso codice pin per tutto, bancomat, carta di credito, iPhone, iPad. La stessa password per tutto, e che naturalmente è uguale al pin. Lo stesso taglio di capelli da quarant’anni. Lo stesso calcolo renale da venticinque. Le cose che la custodiscono, e quelle che custodiscono qualcosa di suo, non le cambia. Mai. Il marito, anche, è lo stesso da sempre, e l’ha sposato due volte. Il bis di un vecchio successo è sempre migliore di un pezzo nuovo. Accessi, combinazioni, pin, marito: tutto uguale, per lei, e ripetuto, e ribattuto, e riconfermato. Sempre. Lei crede che la sicurezza si preservi così, e non accetta, o non crede, o semplicemente non le interessa che sia diventato l’opposto: più cambi, meno rischi. L’agevolazione che ne ricavo io, che rivoluziono sempre tutto e dimentico pin, password, scadenze, e pure di emettere fattura (che chic!), è questa: quando torno a casa dei miei genitori, e lei va a dormire, prendo il suo telefono e leggo i suoi messaggi. Ci trovo sempre: lui che scrive a lei, cosa vuoi mangiare, amore?, e lei che risponde riso in bianco e non t’azzardare ad aggiungerci il burro; lui che le chiede, a che ora torni? e lei che non risponde. Lui con un’ortografia impeccabile, lei da sei meno. Mia madre manda cuori e faccette che si sbellicano, a tutti e soprattutto a me, mio padre soltanto rose rosse, a lei e qualche volta a me. Non hanno segreti, a parte quello che li tiene uniti – e che in effetti più che un segreto è un mistero della fede – e anche quello non cambia mai, nonostante per sicurezza si debba sempre cambiare (cambiare password perché prima o poi qualcuno la indovinerà, e quindi poi leggerà i messaggi in cui ordini a tuo marito di non rovinarti la dieta, e cambiare marito perché da qualche parte ci sarà senza dubbio uno migliore di lui, più avventuroso, più magro, più eloquente, e che soprattutto non ha bisogno di sentirsi minacciato per non rovinarti la dieta: ci arriva da sé). La sola volta che, sbirciando tre le cose di mio padre (non mi limito al telefono: cerco tra cassetti, agende, tasche, borse), ho trovato qualcosa d’inatteso, era una pagina in cui parlava a sua madre, le diceva cos’aveva provato quando l’aveva vista, morta, nel letto dell’ospedale, e c’erano molti puntini di sospensione, tutti quelli che non ha mai usato in tutta la sua vita. La vita segreta di mio padre è in quello che prova, e ce ne sono poche tracce al mondo: quella lettera, quella che mi scrisse per i miei trent’anni, e quelle che ha scritto a mia madre quando erano fidanzati. La vita segreta di mia madre non esiste, al di fuori di alcune telefonate nelle quali mi dice, tuo padre è insostenibile, tua nonna è ancora più insostenibile, lavoro con un branco di analfabeti, e in certuni messaggi che ogni tanto ha mandato a miei amici/fidanzati/promessi sposi, che andavano da “dov’è mia figlia?” a “perché non vai a parlare con un prete?!”. Lei non sa che io so, e che ho anche le prove.

 

Leslie Berlin ha scritto sul New York Times che, quando sua madre è morta (all’improvviso, in un incidente stradale), ha dovuto prendere il suo telefono per cercare dati utili a tutte quelle terribili incombenze che restano ai figli quando muoiono i genitori: pagare eventuali creditori, sapere chi avvisare e se c’erano vacanze prenotate o feste organizzate o ordini Amazon da annullare.

 

Un mese prima dell’incidente, sua madre le aveva dato tutti i codici per entrare dappertutto: quando li ha inseriti, erano sbagliati. Durante quel mese, quindi, li aveva cambiati. Forse s’era pentita, non s’era fidata, o aveva letto un articolo che diceva cambiate tutti i vostri codici di accesso, la Russia vi sta spiando (una cosa alla quale mia madre risponderebbe: e che fa, io non chiudo neanche la porta quando vado in bagno). Insomma, la povera Berlin, che nella vita fa la storica e quindi sa ricostruire la vita delle persone, ha cominciato a provare combinazioni, ma ce n’erano un milione di possibili, e quindi dopo molti tentativi ha rinunciato, e ha capito che è più facile ricostruire la vita di chi non conosciamo che quella dei propri genitori che ormai, indipendentemente da quanto vecchi o giovani siano, lasciano tracce di sé quasi esclusivamente digitali, e le proteggono con password che ci rivelano, magari, ma che poi dimenticano di ridirci, quando le cambiano. Le sole cose alle quali Leslie è riuscita ad accedere da sola erano le playlist musicali sul pc di sua madre. Poi è andata in un centro Apple, s’è fatta aiutare da uno di quelli che hanno sempre la faccia da Milhouse e si aspettano che tu sia un deficiente, e lui le ha risolto il problema, le ha spalancato le porte per tutto il resto. Lei, però, non ha trovato la forza di leggere niente, di intrufolarsi in nessuna App: ha capito che avrebbe dovuto farlo quando sua madre era viva. Impossessatevi della vita di quelli che amate fintanto che sono vivi, ed evitate di cambiare password: se anche i russi vi spiano, lasciate che si divertano. Guardate come son tranquilla io anche se attraverso il bosco, che è questa vita che prima o poi mi lascerà orfana.

 

Ps. In cassaforte, a casa dei miei, ci sono le lettere che si sono scritti quando erano fidanzati.

Dice mio padre che le potrò leggere solo quando saranno entrambi morti.

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