Francesco Musolino, L'attimo prima, Rizzoli

C'è tempo, papà

Francesco Musolino

La penna stilografica che non volevo ereditare e tutte le cose tue che ora porterò con me

Mio padre è seduto sul letto. Sono alla scrivania, gli do le spalle. Ancor prima del cigolio della rete, il suo odore invade la mia stanza. Fra gli oltre diecimila odori che siamo in grado di percepire come specie umana, il suo è inconfondibile. Un miscuglio di più̀ elementi, in cui c’è la traccia acre delle sigarette – le sue Dunhill, dal pacco oro e bordeaux – e il tono d’agrumi dell’acqua di colonia, sommato a qualcos’altro di indefinibile che sfugge alla scomposizione analitica. Di fatto è semplicemente l’odore di mio padre, annidato sulla sua federa, nella profondità delle fibre dei suoi abiti. Sta armeggiando con il comodino. Si fa spazio, allinea i post-it, sposta la sveglia. Mi viene un dubbio, lancio uno sguardo sopra la spalla. No, non aprirebbe mai i cassetti. Del resto, a quindici anni avevo scritto un libro di poesie ma lui e mia madre, dopo aver confabulato in cucina, scelsero di non leggermi. Quel volumetto rimase sul tavolo del salone; un giorno mi dissero che le poesie erano troppo personali e non si sentivano pronti a scoprire le mie emozioni. Questo oppure il fatto che fossero davvero brutte e non sapevano come dirmelo. Era pur sempre una forma di protezione, per cui avevo ragione di credere che il cassetto del comodino fosse al riparo dai suoi sguardi indiscreti.

 

Torno a fissare lo schermo del mio MacBook e rifletto su cosa possa esserci di compromettente nel mobiletto accanto al mio letto. Foto, gingilli vari, qualche lettera d’amore risalente a chissà quando, forse un paio di preservativi. A pensarci bene i miei genitori non mi avevano mai fatto il discorso. E intendo quel discorso. Beh, una volta c’era stato un accenno. Alla tv davano “Titanic”, ero al primo anno del liceo e la mia fidanzatina venne a cena a casa per guardarlo insieme. Mangiammo composti come una coppia amish, mancava poco ci tenessimo la mano sopra la tovaglia d’organza sfoderata da mia madre. Dopo il dessert piombammo nella mia camera e cercammo di fare meno rumore possibile. Di “Titanic” non abbiamo visto nemmeno un fotogramma eppure ne ho un ottimo ricordo. Tuttavia, dopo essere rientrato a casa, con il viso ancora fresco dell’aria della sera e un sorriso vagamente ebete, c’era mio padre ad attendermi con il posacenere pieno di cicche sul tavolo e la cucina immersa in una nebbia da sala da biliardo. Mi propinò un discorso piuttosto vago che concluse così: “Insomma hai capito, la prossima volta che ti chiudi in camera con una ragazza, ti tolgo direttamente la porta”. Ma ho passato da un pezzo i vent’anni, sarebbe imbarazzante per entrambi affrontare quel discorso.

 

Il punto è che adesso mio padre è seduto sul mio letto e ha fra le mani la sua penna preferita. Una Cartier d’oro, piatta e sottile. Deve aver aperto la cassaforte e visto come brilla alla luce dell’abatjour, avrà preso anche il panno per lucidarla. E’ un momento cui mi accennava da circa un mese, un passaggio di consegne. Quando mi volto, vedo che ha predisposto la boccetta di inchiostro Blu Notte e un blocco di carta di Amalfi. Adesso è tutto pronto. Francesco – esordisce con la voce che ha sempre un’inflessione lievemente roca – ti faccio vedere come si ricarica. Del resto, proprio lui mi ha trasmesso l’amore pazzo per la scrittura a mano e le penne stilografiche. Vedi, c’è una levetta da far scattare… si infila nella boccetta e poi… Che reazione si aspetta: curiosità, entusiasmo? Ma io non mi volto. Sto facendo qualcosa d’importante. Dopo dopo, c’è tempo papà. Si zittisce. Attende. E ci riprova. Vedi Francesco, poi si aspira l’inchiostro, lentamente… Mi sforzo fisicamente di non cedere. Dobbiamo farlo proprio adesso? Punto i piedi nudi sul pavimento. Clicco sul mouse, apro e chiudo pagine e i secondi passano pesanti finché lui capisce, raccatta tutto – la penna, la boccetta d’inchiostro, il blocco di carta – e uscendo, chiude anche la porta.

 

E così, domani e poi domani, non ne abbiamo più parlato. Il punto, caro papà, è che quel tempo dilatato e smisurato che pensavamo di avere per fare tutto, appena un mese dopo era già finito. Dovevi insegnarmi anche a fare le iniezioni ma tutto è cambiato in una domenica mattina qualunque. Abbiamo passato momenti bui ma stamattina, finalmente, ho sentito la voglia di riaprire la cassaforte. La penna era lì. L’ho lucidata daccapo e mi sono seduto qui sul letto, accanto al comodino, proprio dov’eri tu quella sera. Mancava solo il tuo odore. Sai, ho deciso che la porto via con me, la infilo nel taschino per lasciarla brillare. Ma per comodità terrò in tasca anche una biro blu. E’ meno elegante, lo so, ma almeno questa so farla funzionare. D’accordo, papà?

di Francesco Musolino è appena uscito in libreria il suo romanzo d’esordio, “L’attimo prima” (Rizzoli)

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