Greta abita a casa mia
Il detersivo fatto in casa e la ribellione al catastrofismo apocalittico: ve lo salveremo noi questo pianeta
Greta è piombata sulla mia casa come il tornado su quella di Dorothy nel “Mago di Oz”, e la malvagia Strega dell’Est che è rimasta schiacciata sono io. Il cambiamento climatico c’entra soltanto in parte, la causa del tornado sono io. Quando Greta era ancora soltanto una ragazzina svedese con l’impermeabile giallo ad agosto che scioperava ogni venerdì per sensibilizzare gli adulti sull’ambiente, ho parlato di lei ai miei figli. Era la storia di una ragazza ribelle, arrabbiata e apocalittica come tutti i ragazzi e come (quasi) tutti i ribelli, che aveva già conosciuto il dolore, la malattia, la disperazione e che ne era uscita innamorandosi di una causa giusta, che è quella di rispettare l’ambiente prima che l’ambiente smetta di rispettare noi. Mi sembrava una storia bellissima, lo è ancora adesso. La sua prima intervista mi aveva colpito e straziato, soprattutto nella parte in cui parlavano i genitori – Greta non parlava molto: ha un mutismo selettivo, “sono sempre stata la ragazza invisibile”, diceva. Si è detto di tutto sui genitori, lo scrittore e la cantante, e sul loro ruolo cinico nel cosiddetto “fenomeno Greta”, ma non sono d’accordo: a undici anni Greta era depressa, molto depressa, non parlava se non della morte, a scuola hanno mostrato dei documentari sulla plastica e sulla deforestazione e lei si è appassionata, ha fatto ricerche, ha studiato, è tornata a vivere. E i suoi genitori l’hanno assecondata, come avrebbe fatto chiunque di noi, perché l’alternativa era silenzio e voglia di morire e quella ragazzina, prima di essere Greta, era la loro figlia. Non me la prendo con i genitori di Greta, semmai me la prendo con i genitori dei ragazzi e delle ragazze che giustamente seguono l’esempio di Greta, semmai me la prendo con me. Perché siamo noi che possiamo dare forma (e speranza) al messaggio di Greta, non foss’altro perché i soldi per comprare gli spazzolini di bambù o le bottiglie di vetro o l’argilla per fare il detersivo in casa sono i nostri.
Ho portato Greta in casa mia e sono rimasta schiacciata. Ho comprato gli spazzolini di bambù e anche i dischetti riutilizzabili per struccarsi, ho contattato l’omino che porta le bottiglie di vetro a domicilio (ma ancora non sono riuscita a organizzarmi per la consegna), ho acquistato tutti gli ingredienti per fare il detersivo e il dentifricio in casa, ho accettato di propinare meno carne a cena (non so cucinare, ma so cuocere, e con la carne me la cavavo dignitosamente) e ho ripulito la cucina senza fare polemiche quando i miei figli hanno voluto assaggiare il tofu e l’hanno sputato dappertutto. Ho comprato il libro di Greta, i retini per ripulire il mare dalla plastica, le borracce (il regalo preferito da tutti, anche dai sindaci, così ho una quantità di borracce che potremmo farle diventare usa e getta), le cannucce di silicone e altre diavolerie costose che fingo di non ricordare. In cambio a ogni “ho sete, ho sete, ho sete” ripetuto nei momenti più impensabili ho potuto rispondere: “Hai dimenticato la borraccia, la bottiglietta di plastica non possiamo comprarla, cavoli tuoi”, e la raccolta differenziata è diventata una regola familiare valida per tutti, non soltanto per me. Consolazione magra, lo so.
Poi un giorno ne ho avuto abbastanza. Non sono stati i dischetti riutilizzabili sparsi ovunque e sporchi, perché il detersivo fatto in casa non pulisce niente, a farmi ribellare. E’ stata l’ennesima risposta: tanto tra dieci anni saremo tutti morti, perché dovrei studiare, sognare, fare progetti? Stavo parlando con mia figlia, diceva che non possiamo più utilizzare l’automobile e nemmeno l’aereo. Le ho detto: ma non volevi andare in America, come pensi di arrivarci, in America? In barca a vela come Greta, ha detto lei. Certo, e magari c’è anche un principe che la guida, la barca a vela, le ho detto. Vabbè, tanto quando avrò l’età per andare da sola in America saremo tutti morti. La mattina successiva, parlavo con mio figlio del suo sogno di andare a giocare a rugby in Nuova Zelanda, con gli All Blacks, i più forti del mondo. Abbiamo fantasticato per un po’, poi lui: tanto non giocherò mai in Nuova Zelanda, saremo tutti morti prima.
Ne ho avuto abbastanza. Ho mandato mia figlia al supermercato con 20 euro per comprare tutto quel che di ecocompatibile aveva bisogno, e le ho detto: tieni pure il resto. Mi ha telefonato dalla cassa dicendo che i soldi non le bastavano nemmeno per i succhi biologici “che mi servono”, e sentivo sotto la cassiera che le diceva di levarsi perché bloccava la fila. Ho iniziato a non lavare più tutti i vestiti provati e buttati nel cesto come se fossero sporchi: sapete quanto inquinano tutti questi lavaggi? Ho spento la televisione e l’aria condizionata, li ho fatti scarpinare per la città perché l’auto consuma e inquina, e sapete qual è il settore più inquinante dopo quello petrolifero? Quello tessile, cioè delle felpe di Billie Eilish o della Levi’s che “vi servono”. Ogni cosa che non sia studiare è diventata inquinante, ogni cosa che non ho voglia di fare o comprare o cucinare è diventata inquinante.
Hanno detto ancora una volta “tanto saremo presto tutti morti”, l’ultima. Come osate? Guardate che ve lo salviamo questo pianeta, non sto qui a collezionare borracce per poi vedervi morire tutti giovani. Come osate? Voi siete arrabbiati e ribelli, ma io lo sono di più, e soprattutto non ho un’età in cui catastrofismo, nichilismo e apocalisse sono plausibili: credo nella ricerca, nell’innovazione, nell’ingegno dell’uomo che spacca e aggiusta e s’adatta e crea. Continuate a sognare di vivere in America e di giocare negli All Blacks, perché ve lo salveremo, questo pianeta: uno spazzolino di bambù alla volta.