La dura lotta per la divisione delle stanze, e dieci anni in un attimo
Elogio del letto a castello e della costruzione dell’indipendenza attraverso l’esasperazione
Per molto tempo, almeno per un anno, mia figlia ha cercato con ogni mezzo di sbattere fuori suo fratello dalla loro stanza. Dalla sua stanza, in realtà. Dalla stanza in cui hanno dormito insieme per più di dieci anni, in un letto a castello con i cassetti a forma di scalini. Lui non voleva essere sbattuto fuori. Ma per lei era giunto il momento di sbatterlo fuori. Lui non voleva dormire da solo. Lei voleva tantissimo dormire da sola. Lui diceva: non me ne andrò mai. Lei urlava: te ne vai adesso, sgorbio. E io tra di loro, incapace sia di convincere lui ad andare, sia di convincere lei a permettergli di restare ancora un po'.
L’avevamo stabilito fin dall’inizio: un giorno, quando saranno pronti a separarsi, questa sarà la stanza della bambina, ragazzina, adolescente, ragazza in fuga. È la stanza più vicina alla porta di casa, secondo i miei calcoli perfetta per fughe notturne di cui io non vorrò sapere nulla. Ha l’armadio più grande, ha il bagno vicino, è una stanza da femmina. Suo fratello era d’accordo, perché lui in cambio avrebbe avuto la stanza con immensamente più wi-fi. Il wi-fi gli sembra una cosa ben più adatta a un maschio, e poi per il momento lui usa il bagno solo dietro costrizione e minaccia, per circa un minuto, massimo tre, ogni due giorni. Il problema non era quindi la divisione delle stanze, ma il rifiuto di dormire da solo. Lui non ha mai dormito da solo da quando è nato. Per un anno è stato nel lettino vicino a me, svegliandosi affamato ogni tre ore, poi ho scoperto la possibilità di riempire molti biberon di latte e metterglieli accanto la sera dicendogli: ecco le tue provviste, e lui da allora ha dormito felicemente nella parte bassa del letto a castello, prima con molte barriere per non cadere, poi con nessuna barriera, prima con molti pupazzi e anche adesso con molti pupazzi. Prima con il gatto, poi con il cane, poi con il telefono, qualche volta, ultimamente, e con mio totale, enorme sconvolgimento, perfino con un libro. Ma ha dormito sempre, sempre, con sua sorella al piano di sopra. Arrabbiata, ostile, esasperata, vendicativa, dispettosa: gli tirava le freccette, gli rovesciava l’acqua, metteva la musica a tutto volume alle due di notte, ma a lui non importava niente, purché non si muovesse da lì. Io me lo ricordo, però, il tempo non così lontano in cui lei chiedeva a suo fratello anche di accompagnarla in bagno perché aveva paura dei mostri del water. E lui sbuffava ma l’accompagnava. Mi ricordo quando lei non si addormentava se lui non era a letto, mi ricordo quando cantavano le canzoncine della buonanotte e si raccontavano le favole e anche le storie dell’orrore, e poi piangevano. Mi ricordo quando abbiamo trovato un orso di peluche accanto a un cassonetto della spazzatura, e dopo averlo lavato, disinfettato e asciugato con il phon, l’orso ha sorriso ed è diventato il terzo compagno di stanza, ogni notte il più desiderato (adesso è diventato di proprietà esclusiva di mio figlio, perché lei gli ha detto: ne hai più bisogno tu, che sei un po' così. Lui non si è offeso per niente, e l’orso non si è più mosso dal suo letto). Io mi ricordo tutto, ma credo invece che mi sto dimenticando tantissime notti, tantissimi dettagli, tantissima vita passata in quel letto a castello in cui ho dormito molte volte anche io, o in cui mi sono addormentata di botto dicendo: leggiamo ma solo cinque minuti.
È successo una settimana fa, e nessuno se lo aspettava: Giulio è venuto da me e ha detto: provo a dormire da solo, ma tu stai un po' con me. Aveva un’aria seria, mentre sua sorella gli traslocava tutti i giocattoli urlando: evvivaaa. Sono rimasta un po', ho lasciato una luce accesa, gli ho detto: sei molto fortunato, qui dal letto puoi vedere il cielo. Era titubante e mi dispiaceva per lui. Dal giorno dopo, ma proprio dal giorno dopo, mio figlio ha iniziato a chiudersi in camera. Torna da scuola e si chiude in camera. Fa i compiti e si chiude in camera. Ha messo un cartello con un teschio: vietato entrare in camera. Ha cercato perfino, senza riuscirci, di cenare in camera. Non vuole più uscire dalla sua camera. Ieri sera gli ho detto: dai c’è Sanremo, puoi stare alzato di più, vieni qui da me. Ha risposto: no, vado nella mia camera a guardare il cielo dal letto. Tu però chiudimi la porta.