L'ora rosa della rivalsa, prima del risveglio delle belve. Aspirazioni socratiche e mani mozzate
Ragazzine molto aggressive e sogni di fuga alle sei del mattino: meglio l’Africa o le Alpi Apuane? Intanto bisogna prepararsi alla guerra
La mia migliore amica mi scrive messaggi tra le sei e le sette del mattino. Quella è la sua ora di libertà: prepara il caffè solo per se stessa, saluta i gatti, fuma una sigaretta in bagno o dove le pare, mi racconta quel che succede, io commento di solito con esclamazioni di indignazione che mi danno la forza di svegliarmi, a mia volta le racconto quel che succede e lei si indigna (è bellissimo sapere che siamo completamente l’una dalla parte dell’altra, unite nella nostra indignazione), poi la mia amica si mette l’elmetto e va a svegliare la belva che deve andare a scuola. La belva è l’adolescente. Le chiamiamo “belve” perché sono imprevedibili e feroci, ma soprattutto perché odiano essere svegliate. Io infatti cerco di non farlo mai perché ho troppa paura.
Spesso la domenica vengo accusata dalla belva di svegliarla con la mia voce inutilmente alta in cucina, e non importa se è già mezzogiorno, perché la belva è stanca e deve recuperare tutto il sonno accumulato durante la settimana. Ieri sera la belva mi ha sbattuto fuori dalla sua stanza così forte che mi è rimasta in mezzo una mano, e allora sono diventata una belva io. Ero entrata, bussando, solo perché volevo mettere un tappeto sotto la sua scrivania. Vorrei precisare che non mi importa niente dei tappeti e che non ho nessuna voglia di srotolare tappeti. Ma la belva aveva passato tutta la sera precedente a piangere dicendo che la sua stanza fa schifo, e che io non faccio niente per lei. Allora le avevo chiesto, socratica: e che cosa vorresti cambiare, mia piccola belva furiosa? Aveva urlato: ma non lo sooo. Il tappeto poi l’ha accettato, sbuffando, ma si è inferocita perché le facevo perdere tempo e quindi le rovinavo la serata, e ha deciso di mozzarmi una mano. Ho notato che la sera dei giorni feriali è un momento molto difficile per una belva, perché comincia il conto alla rovescia per la sveglia del mattino dopo, e io in genere cerco di tenere una distanza di sicurezza, oltre a seguire un esercizio di fitness filosofico che spiega come riassorbire un’emozione e diventare socratici, ma ieri mattina alle sei ho scritto alla mia amica, digitando i messaggi con la mano fasciata: molliamoli tutti, diventiamo impermeabili, diventiamo Socrate ma senza il veleno. Mi ha risposto: le ho detto che d’ora in poi butto nel cassonetto tutto quello che trovo per terra nella sua stanza, e lei mi ha rifatto il verso mentre passavo l’aspirapolvere. Non le parlerò mai più, domani parto.
Alle sei del mattino le belve siamo noi, e decidiamo quasi sempre di partire. Diciamo tutto quello che ci pare perché quella è l’ora rosa della rivalsa.
Ultimamente abbiamo deciso di andare a vivere ad Atene per un po', in onore di Socrate e della Grecia tutta, ma la mia amica è tentata anche dalle Alpi Apuane, e di solito alle sei del mattino di metà settimana sta per compilare la domanda di trasferimento. Il mercoledì e il giovedì c’è questa forte tentazione verso le Alpi Apuane. Io sono contraria alle Alpi, mi sembra che ci sia poco wifi e troppa montagna, le dico pensaci bene, non essere impulsiva, bisogna scegliere un posto comodo, da cui possiamo tornare facilmente, e io nei tornanti mi sento male. Allora lei dice che io non faccio abbastanza sul serio, e che lei se ne andrà in Africa da sola. Spesso litighiamo perché siamo comunque tutt’altro che socratiche, e io non voglio che lei vada in Africa da sola, ma neanche sulle Alpi Apuane, che mi sembrano sinceramente un ripiego. Il fatto di litigare sulla meta della nostra fuga in ogni caso ci calma, e ci prepara alla guerra contro le belve, che nelle loro stanze cominciano a muovere le gambe, poi le braccia, poi spalancano gli occhi e per un attimo sono ancora le bambine di una volta, dolci e gentili, ma in un attimo si ricordano chi sono diventate e con un ruggito si lanciano davanti allo specchio del bagno, a controllarsi la faccia e i capelli. Da quel momento solo l’elmetto potrà salvarci, o forse davvero le Alpi Apuane.