Mio figlio non si lava mai le mani, dice che sono la sua protezione
La debolezza della mia apprensione contro la forza del loro desiderio di libertà
Mio figlio non si lava mai le mani. A volte gli chiedo una carezza ma mi ritraggo appena vedo queste mani nere, piene di inchiostro, di terra, di formiche rosse e di pizza bianca, mani che lasciano segni ovunque si appoggino, mani di un altro secolo, quando non si sapeva ancora della stretta correlazione tra mani e microbi (anche microbi è una parola di un altro secolo, o forse i microbi si sono estinti), insomma mani di quando si ignorava il collegamento tra mani e virus.
Adesso che c’è un’emergenza (reale o psicologica è lo stesso), adesso che c’è il coronavirus dappertutto, tu le mani te le lavi almeno quattro volte al giorno, gli ho detto. E non metterti le dita nel naso! E non metterti le dita negli occhi! E non metterti le mani in bocca! E prendi le vitamine, ma non con quelle mani! E sparecchia, ma non con quelle mani! Con che cosa devo sparecchiare mamma, con questi piedi?
I miei figli mi prendono in giro, dicono che più passa il tempo più mi preoccupo, dicono che una volta (intendono dire: quando ero giovane) non ero così, e io quindi ora devo decidere se angosciarmi dei virus che i miei figli raccolgono sull’autobus, spiaccicando le mani sulle porte e accarezzando tutte le scale mobili della metropolitana, e poi infilandosi le dita negli occhi a vicenda per litigare, e subito dopo mettendosele in bocca per mangiare le patatine prese alle macchinette sempre della metropolitana, o se invece sarà più utile fare una riflessione sul mio infragilimento, su questo impaurito invecchiare che accetta l’idea dell’Apocalisse, su questa amuchina spray che infine ho comprato, ma mi fa un po’ tristezza anche averla comprata, e non so dove spruzzarla (sui corpi? sui vestiti? sul cane? sui vicini in ascensore?) e allora la tengo in cucina, ancora sigillata, perché tutti vedano quanto sono prudente: e appena torno a casa mi lavo le mani per dare il buon esempio, ma nessuno mi guarda perché sanno che se mi guardano io chiederò, implacabile, ossessiva, e senza speranza, se si sono lavati le mani.
Mio figlio continua a non lavarsele, perché la storia dell’amuchina lo ha convinto che spalmarsi le mani di qualcosa di pulito elimini la necessità dell’acqua e del sapone per i prossimi anni, quindi ha queste mani nere gialle marroni rosse e blu, grandi il doppio per via degli strati di sporco, ma igienizzate una volta al giorno da un gel misterioso che gli ha venduto un suo amico per un euro. Quando lo costringo a fare la doccia, infatti, lui esce dal bagno che è molto più magro, e anche affamato, e deve mangiare latte e biscotti per riprendersi, e poi deve rotolarsi per terra con il cane e con le pistole, almeno finché le mani smettono di essere rosa. Dice che è la sua protezione. Protezione da cosa?, gli chiedo io impugnando questa amuchina spray come una pistola e rivolgendogliela contro. Protezione da tutto, dice lui, alzando le mani già di nuovo quasi nere, protezione dalle femmine della mia classe che mi scocciano sempre, protezione da mia sorella che mi scoccia sempre, protezione anche da te che mi scocci sempre. Ma io non ti scoccio, io voglio solo che ti lavi le mani – e comunque mi offendo tantissimo perché sento la debolezza della mia apprensione, la tentazione della quarantena (chiudermi in casa, non vedere nessuno, fare molte scorte di pizze surgelate e di budini con la scusa della responsabilità, della prevenzione e della riduzione del contagio, vedere tutte le serie tivù), e la metto a confronto con la forza delle sue mani sporche e del suo desiderio di libertà. Io che leggo le notizie (anche quelle false) sul coronavirus, lui che mi manda le barzellette sul coronavirus. Io che vorrei eliminare i rischi, lui che deve cominciare a rischiare. Quindi la regola è una sola, molto saggia, molto seria: se ti lavi le mani con il sapone davanti a me, ti do due euro.