Non è vero che non è niente. Ma i miei figli a casa mi dicono “ci arrangiamo”, e penso che andrà tutto bene
Dopo aver brevemente sperato di essere relegata in un isolamento vero – a casa da sola, nessuno che può avvicinarsi, la pace – ho capito: questa è la fine dei capricci, del disordine, delle liti
Cara Annalena, avrai la posta e le chat intasate da madri furibonde ed esauste per le convivenze forzate. Io abito a Milano, sono di Piacenza, la zona rossa è casa mia. Ho trascorso buona parte della mia vita su un treno tra le due città (e oltre, quando mi addormentavo, cioè sempre) o su un’automobile diretta a sud il venerdì e a nord la domenica, ho una canzone per Codogno, un fidanzato a Casalpusterlengo, le nipotine a Lodi e un pensiero per ogni frazione in mezzo. Il coronavirus ha invaso la mia terra, l’ha presa in ostaggio assieme ai miei familiari e mi ha lasciata a casa con il marito, i figli e il cane. All’inizio ho detto “non è niente”: l’apprensione è troppo faticosa per me, tranquillizzare è una grande dimostrazione di affetto e rispetto. Non è niente, andrà tutto bene: a me suona come un “ti amo”. Ma non è vero che non è niente, questo coronavirus, e dopo aver brevemente sperato di essere relegata in un isolamento vero – a casa da sola, nessuno che può avvicinarsi, la pace – ho capito: questa è la fine dei capricci, del disordine, delle liti. I miei figli restano a casa da soli per molte ore, la grande prepara da mangiare, il piccolo apparecchia, entrambi sistemano le loro cose. C’è il cane da portare fuori, ci sono i compiti da fare, non ci sono nonni, tate, signore delle pulizie cui chiedere e da cui farsi coprire. E alla sera c’è una paghetta. Non so si può insegnare, la responsabilità, non so nemmeno se il mio sistema nervoso reggerà fino al 15 marzo (che sarà il 30 e poi forse Natale), so che quando mia figlia dice con un trillo che è una cuoca e mio figlio racconta orgoglioso che resta a casa da solo e “ci arrangiamo”, penso davvero che andrà tutto bene.