(foto LaPresse)

Non siamo soli

Isabella Borghese

Tornerò da Ping a farmi i capelli e intanto ti scrivo, papà, e ti bacerò presto da dietro un vetro

Peng, il parrucchiere cinese del negozio sotto casa, giorni fa ha attaccato un cartello sulla saracinesca abbassata: “Chiusi per ferie fino all’8 aprile”. “I clienti non vengono”, mi aveva spiegato, con rammarico, un pomeriggio. Long e Mai gestiscono un negozio di oggetti per la casa e altro. “Le persone non entrano più”. In questo locale utilizziamo le mascherine per la vostra sicurezza, avevano scritto su un cartello. “Facciamo paura”, mi aveva detto Long, mortificato. Ero alla cassa per pagare gli assorbenti.

 

Oggi anche le saracinesche del loro locale sono chiuse. Ero andata lì per acquistare le buste della spazzatura. Per precauzione restiamo chiusi fino al 15 aprile, hanno lasciato scritto. E in coda un numero di cellulare, Per le emergenze potete telefonarci, è messo nero su bianco. Mi sembrava urgente chiamarli, comunicargli che ero tornata ancora, che non avevo paura di loro. Urgenza ed emergenza sono le parole che sento più proferire in queste ultime settimane.

 

E pure, distanza. Non un’assenza, non una mancanza, neanche, si direbbe, un abbandono. Quello spazio fra un luogo e un altro, una persona e una cosa, un essere umano e l’altro. Padre, figlia. Ci si allena di questi tempi per stare lontani dal veleno – e da esso difendersi. Per sé e per gli altri. Per la comunità. “Evitare ogni tipo di visita non strettamente necessaria” è la restrizione per gli accessi dei visitatori nelle Rsa per la prevenzione della diffusione del Covid-19. I parenti a casa, le badanti pure.

 

L’Rsa, la tua casa, papà. La casa di molti. Esiste qualcosa di più necessario, tra un padre e una figlia, di una visita? Del loro ritrovarsi? Non potrò venire per un po’, salvo emergenze. Prendo un foglio, ti scrivo una lettera, papà. Destinatario: l’amministrazione della clinica. No, ci mandi una email, gliela stamperemo, mi comunicano. Ti racconto che la nostra condizione è comune a quella di molti. E’ perché tu sia certo di essere in compagnia, lontano dall’isolamento. Non siamo soli. Né i soli. Questa lontananza racconta una forma di cura di dedizione, te lo spiego. E pure ti scrivo che di Peng, Long e Mai, qui fuori, non si deve aver paura. E ti racconto di quella fototessera che ci vede distesi, beati. (Era il 1977). Io rido, mio fratello mi guarda, tu mi baci la guancia destra… Tornerà il tempo felice dei baci. E poi, parole segrete. 

 

Non sono una mamma e nulla so, se non per sentito dire, delle loro chat. Conosco la chat dei Parenti. Siamo in tanti in quella dove io ricevo le notifiche: figli, figlie, nipoti, mogli e mariti, fratelli e sorelle. Lì dentro chiacchieriamo, ci scambiamo informazioni, dubbi, esperienze. E, più di tutto, fiducia, coraggio e solidarietà.

 

Vorrei tanto sapere, in questa chat, chi è la figlia di Lucia, la vecchina sulla sedia a rotelle a cui a Natale, alla tombolata con le famiglie, ho regalato, per la doll therapy, una bambola di pezza, con i capelli di lana rossi e il vestitino viola. L’ha chiamata Flavia. Poi Lucia l’ha poggiata sul tavolo, e io ero contenta con lei, mentre la vedevo sorridere, dondolare Flavia, e con Lucia cantavo sedia sediola; poi ogni tanto lo sguardo le si faceva cupo, Quando arriva mia mamma? Perché fa tardi? Chiedeva. E’ nel traffico, arriverà più tardi, le dicevo. Lucia tornava a cantare. Papà, invece, tu chiedevi di tornare a casa, in quella letterina scritta a Babbo Natale, delicata, che chiudevi con un Mi fido di lei. Vostro Carissimo, e la tua firma a chiudere. Quante risate ci siamo fatti nel leggerla con i miei fratelli.

 

E’ stata una bella tombolata, quel pomeriggio. Una vera festa. Sonia, la figlia di Santino, aveva portato un ciambellone. Sempre Sonia, ieri, è entrata in clinica per lasciare il cambio dei vestiti e il padre lo ha potuto salutare a due metri di distanza, mentre Pietro, dal vetro, tirava i baci alla nonna. Ho visto questa bella foto nella nostra chat. La nonna sorride e sventola la mano. Di lui un leggero riflesso si intravede nel vetro. Leggerissimo, a essere sincera. Potrei essere anche io. Chiunque di noi, in verità.

 

La gestione delle nostre emozioni sono parole vive. Olivia si domanda con noi di quanto potrebbe agitarsi la zia se la vedesse solo dal vetro. Ci ho pensato bene, mentre percepivo il suo stato d’animo. Mi è tornato alla mente lo scorso anno, quando nasceva mia nipote ed eravamo lì, estasiati ad ammirarla dal vetro. Potremmo fare così, quando verrò: Facciamo un gioco, papà, potrei dirti, fingiamo di essere al nido. 

 

Sono costretto a salutarvi, e vi ringrazio. Alberto, giorni fa, ha lasciato la chat. E’ morta la mamma. A causa di un ictus. Chiudo whatsapp. Segno su un foglio le cose da comprare quando Long e Mai riapriranno e a fine aprile andrò a farmi la piega da Ping.

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