Sì, viaggiare
Il fattorino si inchina e prega, la signora pedala sul balcone. E io con loro: come sempre guardo
Si sta lavando la faccia con una bottiglietta d’acqua. E’ all’angolo della strada di fronte al mio balcone. Si toglie poi le scarpe e si pulisce anche i piedi. E’ Pasquetta: io sto come molti sul balcone, lui come molti altri a lavorare. Giovane e di colore, ha appoggiato a un palo la sua bici con il cestino Glovo. Più si lava, più io lo guardo. Due i pensieri. Il più meschino: come può fronteggiare il virus se quella è la sua igiene? Il meno meschino: ha bisogno di qualcosa, soldi acqua o altro, glieli posso lanciare dal balcone? Ma penso male, anzi guardo male: non mi sono resa conto di un piccolo tappeto di fianco alla bici. Quando finisce di lavarsi, inizia a pregare. E io cambio pensieri.
Da dove viene quel fattorino? Dove sta andando? Dove dorme la sera? E’ solo? Ha paura a lavorare in queste condizioni? E che altro potrebbe fare? E come è possibile che si sia fermato così, in quel momento e nel momento in cui stiamo tutti, a pregare? Pregava e basta? O pregava per qualcuno? Pregava pensando anche al virus? Come un voyeur non solo resto immobile a fissarlo, ma gli faccio pure una foto dalla mia finestra sulla strada. Lui intanto si inchina una, due, tre volte... Io mi distraggo, o meglio vedo altro: da un balcone poco più un su, al quarto piano del palazzo vicino al quale si è fermato il fattorino, esce una donna. Taglio corto, biondissima, pantaloncini sportivi, maglietta stretta. Trascina sul balcone, e posiziona per bene, una bici, anzi una cyclette, con davanti un piccolo monitor. Accende e si mette a pedalare. E io penso: ma davvero sto vedendo tutto questo? Quante volte al giorno sale su quella cyclette? Quante calorie pensa di bruciare? Non ha caldo? E il marito che dice? Ha un marito? Che cosa pensa mentre pedala? E dove vorrebbe essere, dove vorrebbe pedalare per davvero e non per finta? Immobilizzata a casa, come me e molti altri, la signora fa movimento in qualche modo come tanti in questa quarantena. Muoversi senza andare da nessuna parte, è quello che facciamo in casa, tanto più su una cyclette, sulla quale pedali e non ti sposti. Almeno però lei sta al sole e all’aria su quel balcone, spazio privilegiato fin dai primi giorni di quarantena. E infatti anche il mio balcone poco sfruttato – su una via tra le più trafficate di Milano, ora però deserta – diventa a Pasquetta un meraviglioso punto di osservazione.
Che spettacolo! Lei pedala, lui si inchina, lei pedala, lui si inchina, lei pedala, lui si inchina... Qualche passante con mascherina e cane guarda un po’ stupito lui, ma di lei non si accorge. La visuale migliore è la mia, il mio balcone è balconata reale, posto in prima fila, poltrona d’onore. Il virus che ci costringe a casa mi permette di spiare due realtà così vicine e così distanti, opposte e complementari, come mai mi sarebbe potuto capitare.
Secondo alcuni teorici, il linguaggio cinematografico si è evoluto fino a creare uno spazio audiovisivo nel quale possiamo trasportarci, seduti su una poltrona. Viaggiamo in un mondo narrativo pur stando fermi, siamo cioè viaggiatori immobili. Seduti al cinema, davanti alla tv e naturalmente di fronte a questa pandemia. Il fattorino pedala pedala pedala ogni giorno. E’ lavoro. Si muove, non viaggia. Necessità, non piacere. Per liberarsi gli tocca fermarsi, tornare immobile, posare la bici, lavarsi, pregare. Si fa trasportare dalla preghiera, e viaggia immobile grazie al rituale dello spirito. La signora, immobile in casa, sceglie invece di pedalare su una bici non bici. Finge di essere fuori nel senso ampio del termine, immaginandosi quel balcone come una strada, aria e sole. Si fa trasportare dalle endorfine, e viaggia immobile grazie alla routine fisica.
E io che faccio? Sono credente, eppure in questa Pasqua manco un pensiero religioso. Vorrei fare esercizio pure io, ma nulla, manco due addominali. Ma allora io che faccio in ‘sta pandemia? Niente spirito, niente corpo, niente? Dalla mia finestra sulla strada guardo lei e lui, immagino chi sono, che vita hanno, che vogliono. Viaggio nelle loro storie possibili e immaginarie. E sì, in questa pandemia faccio quello che ho sempre fatto: lo spettatore voyeur delle storie altrui, in questo momento però dal mio balcone e non dalla poltrona di un cinema o dal divano di casa. Siamo tutti viaggiatori immobili, davanti a un film, davanti alla tv, davanti a questa pandemia. Usiamo più di prima o in maniera diversa ciò che usavamo prima: spirito, corpo, storie e altro. Usiamo ciò che sempre, nella vita prima quanto nella pandemia adesso, ci aiuta a uscire, a evadere dalla realtà e da noi stessi. Solo viaggiando seppur immobili oltre tutto possiamo andare avanti e pensare al giorno dopo. E mentre lei riporta la cyclette in casa e lui risale sulla bici in strada, io torno dentro. Dentro casa e dentro me.