Ci sono giorni che funzionano più o meno così: sveglia, testata al muro, molto caffè, testata al muro, piatti della sera prima, testata al muro, in un ritmo che può crescere o decrescere a seconda delle buone notizie o dei disastri in arrivo. In una giornata di isolamento come si deve, di quelle in cui ad esempio la lavastoviglie perde acqua da sotto, il wifi salta, il frigo è pieno di avanzi inservibili e misteriosi, quella cosa di cui tutti abbiamo detto: non la finisco oggi perché la mangio domani, e poi il giovedì ha superato il mercoledì e anche il martedì e il lunedì, e quella cosa, di solito con verdura, è rimasta lì, dentro un piatto, e quando qualcuno apre il frigo anche quella cosa distoglie lo sguardo, imbarazzata, e adesso però quella cosa ha preso un’altra forma, un altro colore, e si è completamente mimetizzata, fa parte del paesaggio frigoriferico, ha una sua nuova identità, e nel buttarla nella spazzatura io sento, giuro che le sento, gli addii e i pianti del salame, del pecorino, della Coca Cola, che si erano affezionati a quella cosa, e in fondo mi ero affezionata anch’io, nonostante non riesca in nessun modo a ricordare che cosa fosse, all’inizio, quella prima sera in cui ho deciso di lasciarne un po' per il giorno dopo: in una giornata così, insomma si potrebbero contare decine di testate al muro. Ma anche la giornata più muro, che di solito si piazza a metà settimana, direi il giovedì, ha i suoi insegnamenti, le sue scoperte.
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