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Infanzia e giovinezza di Virginia Woolf

Gaia Manzini

La scrittrice che ha cambiato il ’900 e ha preso uno schiaffo da Rodin

Virginia fuma un piccolo sigaro di marca Voltigeur, l’hanno rassicurata sulle sue proprietà calmanti. Ma la morte del padre sembra non finire mai, così come l’agitazione; così come l’ “insostenibile smarrimento della pendola”: il tempo che si sta fermando. Ha ventidue anni Virginia Woolf e dell’amore non sa quasi niente, della vita neanche. Quando, in un viaggio per edulcorare il lutto, si ritrova a Parigi con i fratelli Thoby e Vanessa, la sua inquietudine è incontenibile. In visita all’atelier di Rodin, Virginia vaga tra le statue incompiute ricoperte di teli che non si possono toccare. Non le interessano più i divieti, le regole, le imposizioni: con la morte del padre un confine è stato oltrepassato, un argine è franato. In uno slancio improvviso, spoglia una delle sculture proibite lasciando tutti senza fiato. Continuerebbe così con ogni singola opera ricoperta, se la grande mano callosa dello scultore non la colpisse in pieno volto.

 

Il mostro si è insediato dentro di lei: al ritorno in Inghilterra tenterà un salto dalla finestra. Ma al primo accenno di ripresa, l’amata Violet le suggerirà l’indirizzo della direttrice editoriale del Guardian. E’ il 1904, solo l’inizio. Il mondo comincia ad accorgersi di Virginia Woolf e della sua scrittura.

 

La scrittrice francese Emmanuelle Favier, al suo secondo romanzo, ci consegna Virginia, in uscita per Guanda: una biografia romanzesca dell’autrice che ha rivoluzionato il XX secolo, còlta nella sua infanzia e giovinezza a un passo dalle prime pubblicazioni. Favier si è basata su lettere, documenti e articoli, e attraverso un’empatica immaginazione ci restituisce il punto di vista soggettivo, la vibrante insicurezza, il caleidoscopico sentire e la malinconia della giovane Virginia alla ricerca di un angolo da cui guardare il mondo.

 

“Adeline Virginia Alexandra Stephen, detta AVS, detta Ginia o Ginny o Miss Jan o Janet o ancora Viginea; detta la capra – the Goat o Billy Goat o il Giotto o Goatus o addirittura Goatus Esq. – detta Sparroy – che strano passero – o la Scimmia o qualsiasi altro animale penserà bene d’incarnare”. Virginia, figlia di quella donna bellissima di nome Julia e di Leslie Stephen, direttore del Dictionary of National Biography e poi presidente della London Library. Virginia: due fratelli, una sorella; tre fratellastri e due sorellastre. C’è la sua infanzia nella grande casa di Hyde Park, ad ascoltare il padre che le legge Ivanhoe. C’è lei bambina che sente frusciare le farfalle e inventa storie per i fratelli; che inizia a conoscere le prime angosce, la paura di affondare appena si sdraia, il bisogno di sentire sotto i piedi la sbarra del letto per essere sicura che non annegherà tra le lenzuola né dentro al sonno, e ancora non ha deciso quale sia la peggiore – e dunque la migliore – maniera di morire.

 

C’è, in queste pagine, la bambina che comincia a essere ossessionata dai libri e poi la ragazza che si tortura davanti alla pagina bianca e al luogo comune. C’è il legame intermittente con la sorella Vanessa, con l’affascinante madre morta troppo presto e col proprio alter ego, Mrs Jan: l’autrice in erba che s’inventa l’Hyde Park Gate News, la gazzetta familiare. E’ lei lo Scrittore (il femminile è impensabile) che compone la maggior parte delle News, mentre Vanessa, l’Editore, scrive sotto dettatura o ricopia i testi. Ci sono le interminabili estati a St. Ives in Cornovaglia, dove arrivano Henry James, i Mansfield, DH Lawrence; il disagio che si manifesta come il fastidio del corpo e si trasforma in voracità e poi in digiuni; l’istruzione domestica delle ragazze che per Virginia è solo un modo di sottolineare il ruolo subordinato delle donne, il doversi accontentare di un angolo di mondo molto ristretto. Sogna, Virginia, di rompere le categorie culturali dell’era vittoriana, di andare a Cambridge e inserire un elemento di discontinuità nel “grande complotto intellettuale dei maschi”.

 

Virginia si interroga sulla scrittura femminile, si chiede se per scrivere sia necessario dimenticare di essere donne; ma anche se sia la stessa cosa amare un uomo o una donna. E’ una ventenne che non si sente in fiore quando si innamora di Violet Dickinson, più grande di diciassette anni. Attraverso la metamorfosi della crescita, la seguiamo camminare come se costeggiasse un abisso alla scoperta di qualcosa che la definisca e la ricomponga dopo le molestie subite per anni dai fratellastri.

 

Sappiamo che diventerà grande, grandissima, ma la seguiamo condividendo la forza dell’indecisione, l’insicurezza femminile, quella tentazione di rimanere fuori dal gorgo della vita. Eccola là Virginia che ha lottato per se stessa, e per noi. “è una lunga sagoma che passa, metà vergine metà levriero. Non è niente, è il mondo intero”.

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