(foto LaPresse)

A Silvia!

Isabella Borghese

Il primo pranzo insieme a mia madre e mia sorella. Otto ore in balcone. Il mio Capodanno

Dopo due mesi, ci siamo ritrovate in balcone. Io, mia madre e mia sorella. Ho i capelli bianchi, mamma. Non ti lamentare, io li ho messi a venticinque anni, con la nascita di tuo fratello. Lo so, me lo hai raccontato tante di quelle volte, ma adesso io ho bisogno del parrucchiere e dell’estetista.

 

E’ andata così: abbiamo allungato il tavolo il più possibile per rispettare la distanza imposta e ci siamo sedute tutte e tre intorno alla tovaglia bianca, che scendeva fino a dove non lo ricordo. Mi sono svegliata tardi stamane e non ho potuto preparare l’impasto per il pane, sarebbe mancato il tempo per farlo lievitare. Ma ho comprato la pizza, le rosette, due bottiglie di Pecorino per il pranzo – Cucino le cozze e l’orata, mi aveva detto ieri mia sorella – e pure, ho lasciato il cellulare a casa. Una liberazione, oggi. Ho patito a lungo, in questo periodo di isolamento, le notifiche dei gruppi di whatsapp che suonavano e suonano di continuo. Ho patito e patisco quel rumore che sembra stridere con il silenzio che arriva da fuori e con il bisogno di silenzio che mi è ancora necessario per comprendere questo periodo di giorni, ore, momenti e sentimenti da conoscere e qualche volta da riconoscere.

 

Ragazze, ho ricevuto l’email: riceverò il sostegno economico anche io. E’ stato il primo brindisi. Per lei. Per mamma. Per il suo lavoro – la sua nuova vita, dopo la separazione da papà. No, ma che dico, forse prima abbiamo fatto un brindisi a noi tre, per questo ritrovarci. O a sua nipote, che a lei la chiama Nonna e a noi che ci chiama Zie. O forse alle cozze che erano molto saporite, e all’orata che, ancora in forno, stavamo aspettando con desiderio. O forse abbiamo brindato a papà, andremo in visita da lui tra non molto. Uno di noi alla volta, ci ha detto mamma. Di più non si può, è pericoloso. Vado prima io. Certo, mamma, vai prima tu. Poi però, posso andare io? Ho chiesto. Vorrei avere la precedenza. Essere la prima tra noi figli. Non è una pretesa, ho chiarito, è solo un desiderio. Vorrei andare a prendere il disegno che ha fatto: una casa. Dev’essere quella in cui abbiamo vissuto tutti insieme, penso. Voi che dite? Brindiamo, dai. Brindiamo ai ritorni: Ai ritorni e alle case.

 

Hanno liberato Silvia Romano! ha esclamato mia sorella. Festeggiamo! Nessuna di noi ha dimenticato la potenza, la bellezza della libertà. E’ tutto ancora sospeso, ho pensato, forse l’ho anche detto; passerà questo tempo e resteranno persone e sentimenti che ci hanno accompagnati nella vita, altro perderemo e di queste perdite è presto per sapere, ma ci pensate? Brindiamo non solo alla libertà, pure alla felicità di quel padre che rivedrà dopo molti mesi sua figlia rapita. Si abbracceranno. Non potranno dir loro di no. Chi avrebbe questo coraggio? Ci siamo commosse, e abbiamo brindato ancora. Come se Silvia fosse nostra sorella, e quel padre il nostro da riabbracciare. Il bicchiere di mamma è vuoto, il vino finito. Non posso darti un po’ del mio, le ho detto. Non si può. Non fa nulla. Abbiamo deciso che andava bene anche questo brindisi, con un calice vuoto, il suo, il mio e quello di mia sorella ancora pieni. Li sentivamo mentre tintinnavano. A cuore avevamo la nostra festa, il cin cin. A Silvia!

 

Poi, l’orata era ottima. Mi sono alzata dalla tavola tre volte per andare in bagno, come quando eravamo ragazze e stavamo a una bella festa, pronte per divertirci ancora. C’era la luce e il sole, quando ho aperto il primo Pecorino. Mi sono accorta d’un tratto del buio e solo quando mia sorella ha detto: sono le 21. Le nove? Ma come? Di già? Otto ore seduta allo stesso posto. Neanche nella più esaltante serata danzante sono mai riuscita a ballare nel medesimo angolo per tante ore di fila. Neanche lì.

 

Davanti alla porta, prima di andare via, ho infilato le scarpe che avevo tolto al mio arrivo. Cos’è stato questo sabato? Un capodanno. Pensavo, rincasando, a Luchino uscito dal coma, ma di più non ci è dato ancora sapere. Pensavo a papà, forse lo rivedrò in giardino. Ho rivisto mio fratello, commuoversi davanti a me, quel pomeriggio di poche settimane fa, mentre dal portone mi allungava una busta con la pizza, senza poterci abbracciare. Ho pensato a Napoli, al mare, all’amore, farlo presto è un mio proposito, e ho pensato ai tulipani rosa in cucina. Ho pensato che quest’anno ho cantato per la prima volta Bella ciao da sola.

 

E pure, ho riflettuto, mentre cercavo le chiavi di casa: mentre sui social la chiacchiera si divide tra chi dice che questo isolamento ci cambierà e chi sostiene il contrario, io no, io non voglio cambiare. Conosco la durezza, l’asprezza della vita, persino l’attimo in cui con essa si vuole farla finita. E’ per questo che non voglio cambiare: mentre soffriamo, resistiamo. Ed è questo resistere incessante a renderci consapevoli e fedeli alla vita.

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