(foto LaPresse)

I rapporti umani

Lisa Ginzburg

La pandemia ha fatto esplodere il nostro dio del massacro. Adesso però è tutto più nitido

Il terrore per la pandemia di Covid 19 ridisegna la mappa dei nostri rapporti con gli altri. Nella cornice di una prossemica stravolta, bloccata, attualmente e probabilmente a lungo solo virtuale, ci troviamo a scoprire tante cose dei nostri scambi col mondo. In queste lunghissime ultime settimane passate confinati in casa si sono, per ognuno, riconfigurate possibilità di relazioni: antichi affetti si sono risvegliati, ricchi di sintonie nuove, così come distanze e rotture si sono definite con chirurgica precisione. Gli altri come individui da temere, gli altri da tenere a distanza di sicurezza. Complicarsi massimo dei rapporti umani, ma anche loro reciso semplificarsi (spezzarsi): qualcosa che si è innestato su un terreno che era già concimato, pronto, perché già danneggiato.

 

Certe lontananze, o allontanamenti, erano “nell’aria” da prima di questo cataclisma sanitario. Penso a distanze più palpabili, ad altre più sottili; a separazioni certe volte invisibili ai nostri occhi perché appostate dietro meccanismi obbligati di socialità. Non siamo soltanto le relazioni che scegliamo: anche tutti quegli scambi che sino a poco meno di due mesi fa gestivamo per convenienza, per praticità, per senso di realtà. E questo secondo genere di rapporti – coatti, che afferiscono a una dimensione non spontanea della nostra vita collettiva – adesso eccoli mostrare la corda, rivelandosi in tutta la loro superficialità e inconsistenza.

 

Vale per colleghi, conoscenti, interlocutori la cui presenza prima del confinamento riempiva in forma obbligata nelle nostre giornate. Un esempio: i padri e le madri degli amici dei figli. Chi ricorda la prima scena di Carnage, il film che Roman Polanski ha tratto da un racconto di Yasmina Reza (Il dio del massacro, pubblicato da Adelphi in Italia, poi fortunata pièce teatrale per la regia di Roberto Andò) sa quanto il confronto tra genitori i cui figli vivano un conflitto è tensione esplosiva, che può arrivare alle stelle.

 

Davanti al dispiacere di tuo figlio a causa di una sua amicizia, come genitore il senso di impotenza che provi di fronte ad altri suoi dolori inconsolabili (la morte, o tragedie storiche come ora la pandemia) fa eccezione. Se soffre, tuo figlio, per qualcuno o qualcosa – un’offesa, un sopruso subìto – fargli da scudo senti non solo di volerlo: anche di poterlo fare. A tutti i costi vuoi risparmiargli la pena di delusioni umane che ti appaiono ingiuste per lui perché premature, ed evitabili. Nei confronti dell’altro, il compagno “crudele” con tuo figlio, ti sforzi di provare sentimenti compassionevoli: è solo un bambino, ti ripeti. Ma quando la tua creatura la vedi singhiozzare, la mattina prepararsi e avviarsi verso la scuola pallida, insicura, indifesa davanti a chissà quali esclusioni e angherie che subirà da quel compagno (e chissà quali altri), ogni tua magnanimità lascia posto all’indignazione. Sei sul piede di guerra. Possibile che “l’altro” bambino – malvagio e viziato, adesso te lo dici – non venga rimproverato dai suoi genitori? Che costoro non sappiano con fermezza trasmettergli valori “sani”, di solidarietà, perdono, magnanimità? I giorni passano, la situazione resta tesa, il figlio sempre più pallido e malinconico a cena fissa il vuoto, lo sguardo triste. Tu allentato ogni freno inibitorio di auto-contenimento ti senti travolgere da una valanga di rabbia; in un moto spontaneo e furioso scrivi all’altro genitore (a uno dei due, quello col quale hai intrattenuto un’amicizia superficiale ma ormai lunga). Meglio risolvere la cosa tra adulti, dirimere la questione a tu per tu tra persone grandi e vaccinate. In un incontro rapido e sgradevole, senza dirlo esplicitamente sancite il disaccordo tra i vostri figli, ponendo fine al vostro finto rapporto durato anni.

 

Ci legittimiamo a essere noi stessi

 

Questo succedeva prima della quarantena. Adesso le insofferenze verso gli altri, in ognuno di noi sono amplificate. Siamo spaventati, lambiti dalla morte e dalla sua ipotesi, circondati da lutti e perciò addolorati. In allarme. In questo stato di urgenza, ci legittimiamo a essere noi stessi, senza fare sconti, poco inclini alle mediazioni. Di rotture, e della loro irreparabilità, certo la vita adulta è costellata. Ma adesso a queste fratture guardiamo come a specchi di una disarmonia prestabilita. L’immane paura del contagio e la radicalizzazione dei rapporti umani che comporta (nel male e nel bene) è “apice” di un’atmosfera pregressa. Altre distanze già segnavano le nostre vite: con la differenza che ora tutto è più nitido, palese. Riconoscerlo sarà utile per il futuro, sarà bussola per quando le cose andranno meglio.

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