(foto LaPresse)

Ricominciamo

Francesca Cutolo

Ora il trapano non mi dà tregua, e sono stordita dal nuovo inizio. Ma tengo stretti i giorni andati

Di questa fase due non riesco a esultare, non riesco a gioire. Ho già come uno stordimento da quando è cominciata. Da lunedì scorso, che si è ripartiti: poi, a tratti ho come una compressione al petto. Ho ancora bisogno di star dentro casa, io. Ho già nostalgia del periodo di massima chiusura. Ho maturato una sorta di sindrome dal virus carceriere e non riesco proprio a ritrovarmi di nuovo sparata nella vita. La nuova vita. Anche perché… diciamocelo: di che vita stiamo parlando?

 

Ho paura di quello che sto vedendo in giro. Premesso che so perfettamente di parlare da una posizione privilegiata, ma tant’è, è la mia vita e di questo posso testimoniare. Ma tutti, insieme, abbiamo intrapreso Il viaggio! Choc, Sconcerto, Paura. Paura del virus, paura per la perdita del lavoro, (in prova al Piccolo Teatro di Milano, ero prossima al debutto nelle vesti di Gertrude dell’Hamlet di Antonio Latella). Paura della solitudine e paura dell’altro. Paura della paura. Incredulità e senso di smarrimento, poco alla volta si sono alleati a compostezza, praticità e lucidità. Si sono riorganizzati e hanno tenuta alta la guardia non abbandonandosi o lasciandosi stordire e prevaricare dallo choc. Siamo diventati tutti seri, diligenti, ligi, bravi.

 

Abbiamo avuto un capobranco, lo abbiamo ascoltato con fiducia ogni volta che ha annunciato le sue dirette. Abbiamo seguito tutti i bollettini della Protezione civile e seppur nel dolore per i numeri spaventosi di contagi e di morti, pian piano ci siamo adattati al tutto chiuso e a questa vita da ritrovare, sentendoci anzi fortunati e privilegiati di vivere in una regione (il Lazio) con pochi ammalati. Abbiamo rimodellato le nostre case, riorganizzato gli spazi, permettendo di continuare a seguire le proprie cose a chi ha dovuto lavorare, fare lezioni online, a chi ha dovuto studiare e ognuno ha trovato il suo posto.

 

Abbiamo accettato che i nostri figli vedessero tutto di noi. Abbiamo condiviso con loro ogni pensiero e ogni azione. Non gli abbiamo potuto più filtrare le notizie, né distillare gli aspetti brutali della vita. Nel poco tempo che trascorrevamo insieme a loro, prima del virus, riuscivamo a fargli da scudo ma in questa nuova vita, fatta di straordinaria vicinanza, abbiamo calato la maschera e acconsentito, senza più alcun pudore, che scoprissero definitivamente le nostre ombre storte e scomode. E questo ci ha fatto bene. Abbiamo visto loro crescere maturare e svilupparsi velocemente. Ci siamo dovuti sostituire, alla scuola, agli amici, allo sport. E questo ci ha fatto bene.

 

Abbiamo scoperto nei nostri nuclei familiari nuove forme di convivenza, nuovi equilibri, nuove complicità, e anche questo ci ha fatto bene. Abbiamo, poco alla volta, abbandonato la paura e ceduto il posto a una riflessione e a un sentire più profondi. Complici il silenzio, il vuoto, l’aver rallentato la corsa, è emerso qualcosa di inedito. Qualcosa di molto prezioso.

 

La vita vissuta fino ad allora, la nostra vita, quella che abbiamo costruito pezzo su pezzo e che ci sembrava appagante e bellissima, ha cominciato a sbiadirsi e a prendere le connotazioni di una grossa nebulosa sempre più fitta, sempre più densa ma sempre più lontana, fino a sbiadirsi e perdere i contorni. In questo sfiorare una leggerezza, assenti di biografia, fluttuanti e soli, ma uniti al mondo in un destino comune, lo sguardo si è posato su qualcosa che non avevamo mai visto prima e una nuova consapevolezza ha cominciato ad abitarci: deresponsabilizzati, privati dell’ansia, svuotati, immobilizzati, possiamo vivere felicemente e fare a meno quasi di tutto.

 

E’ stato allora che ho provato sconcerto e stupore tutte le volte che ho guardato il nuovo cielo – e che colori – e tutte le volte che ho sentito l’aria sulla faccia, aria prepotente, tagliente sfrontata. Ogni giorno un profumo nuovo venuto da lontano, lasciarsi avvolgere da quel soffiare libero del vento robusto, muscoloso, padrone di tutto lo spazio e sentirgli poi cedere il passo, come in una danza, alla dama del silenzio. Di ogni singolo video ho gioito, da quello di mamma papera coi paperotti in fila su un marciapiede di Treviso, passando per quello del giovane ragazzo che esegue un motivo di Morricone da un balcone su piazza Navona, sino ai delfini saltellanti e felici finalmente unici padroni delle acque blu di Capo Miseno, no era Ischia, ma no è Gallipoli dice infine il vicino pugliese.

 

La mia mente e il mio cuore sono ancora là, tra quelle giornate dense di vuoto. Il vicino ha ripreso i lavori di ristrutturazione, martelli seghe e trapani non ci danno tregua, il cielo ha ripreso un colore latteo, il vento a soffiare nella sua forma più generica, i clacson a strombazzare forte e anche se non vedo l’ora di tornare all’amato Teatro, quei giorni mi mancheranno tantissimo e quella gentile prepotenza di natura e città me la tengo stretta stretta.

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