Un'attesa infinita
Single, partita Iva e più tirchia. Socialmente peggio di me nessuno. E’ bello quando agosto finisce
Ogni mattina apro le finestre e vedo la lunga di fila di taxi parcheggiati. Mentre scrivo, a metà mattina, ce ne sono 23. Prima del lockdown a Milano era tanto se a quest’ora ne trovavo uno. Il ristorante cinese di fronte a casa mia ha cambiato insegna e menù. Prima era un ristorante medio-alto, di quelli che avevano iniziato a proporre, per differenziarsi, una cucina cinese raffinata, fatta di ravioli impastati a mano dai cuochi che spiavi dalla strada (e dalla mia finestra) perché la cucina era rigorosamente a vista. Ora diventerà un all you can eat. Ben prima dello scoppio della pandemia, come molti altri, il ristorante aveva chiuso, non solo perché “i cinesi sapevano quanto stava per accadere”, ma perché sapevano che un ristorante vuoto per paura è peggio di un ristorante chiuso per sicurezza. Anche ora credo sanno bene quel che succederà. Meglio tanto a basso prezzo, data la situazione economica incerta, l’unica mia certezza di questa pandemia. E’ uno s-lockdown un passo alla volta, lo dice anche lo spot con Ghali voluto da Sala. C’è chi ancora va in ansia se mangia al ristorante, all’aperto, lontano da tutti. C’è chi puccia noncurante le mani nelle patatine durante l’aperitivo, e adesso dà molto più fastidio. C’è chi esce ancora poco, tra noia, pioggia, pigrizia. C’è chi dice che la pandemia è finita qui, e vuole solo riprendersi la sua vita di prima, anche quella da ufficio. Alcuni preferirebbero lo smart working, si è lavorato perfino meglio. Ma a molti capi piace vederti lì alla scrivania. E poi, dicono altri, ci sono quelli che non lavorano da casa. Manco in ufficio, in realtà, ma almeno così stanno segregati. Puniti tutti, felice nessuno. Ma non dovevamo ripensare la nostra organizzazione lavorativa, sociale, economica?
Non ho mai creduto al cambierà tutto, però al cambierà qualcosina volevo fingere di crederci un po’ di più. Conta restare a galla. I cambiamenti sono individuali, intanto, ma le conseguenze riguardano tutti. Così ho imparato a fare la pizza durante la quarantena, come molti della mia generazione, più abituati all’uscita che alla cucina. Solo in una pizzeria buona mangerò una pizza non impastata da me, mi impongo. Sarò però disposta a pagarla come prima? La quarantena mi ha lasciato tirchia, al di là della prospettiva economica incerta (non solo single ma anche partita iva, socialmente peggio di me nessuno).
Dopo l’Expo, Milano è diventata come mai prima un città del cibo e del divertimento diffusi. Splendida. Spesso però più cara, talvolta senza motivo, ma reggeva per via dei turisti, dei pendolari, degli studenti. Adesso sui Navigli un hamburger a quattordici euro mi pare una follia più di prima. Ha ragione il proprietario del cinese di fronte casa mia: o tanto per poco o solo altissima qualità. “Selezione naturale”, dice una mia amica, il costo umano sarà salato. I Navigli sono bellissimi, calmi: chi pensa ci sia troppa gente non si ricorda cosa c’era prima (molti poi sono già nelle seconde case). Garibaldi/Isola e Duomo anche paiono resistere, il resto chissà. Per poter stare all’aperto la prenotazione, già un rito prima, ora è un dovere. Da Luini, il più famoso panzerotto della città, che viaggiava su doppia coda, in un lampo hai il tuo caldo fritto involucro. Ho persino preso la bici, io milanese cresciuta negli anni Ottanta che la vede da sempre come mezzo estraneo. Ma adesso è tempo di bici, bici ovunque. E monopattini. E lunghe camminate. E verde in città, datecene di più, ancora. Maran sarà più contento di noi. Buenos Aires pare ancora frenetico, ma basta spostarsi di poco e c’è un silenzio quasi irreale. E’ come agosto. Solo che è agosto da mesi, e agosto, come tutte le pause dalla e della vita, è bello se poi finisce dopo un po’. Sarà poi che quel “Ne riparliamo a settembre”, un classico di questi mesi, suona adesso più oscuro.
“Scordatevi tutto”, dicevano. Quando è scoppiato il coronavirus, il dibattito è stato molto molto all’italiana. Bipolare, allarmista, nevrotico: e la vita di prima non sarebbe mai più tornata, e tutto sarebbe cambiato, e il lockdown era una segregazione da cui non saremo quasi mai più usciti fino al vaccino, e scordatevi tutto, le vacanze, lo svago, il piacere, anche perché “siamo in guerra col virus”, e più si soffre, più si guarisce (un po’ di classico bigottismo cattocomunista). Non è successo nulla di tutto questo. Andiamo però avanti come depotenziati tra piccoli smottamenti, nuovi comportamenti, stanchezza generale, nuove nevrosi. La città è e non è, e così chi la vive, come in attesa. Stanotte ho sognato che dimenticavo la mascherina, salivo sulla metro, giravo per mille posti, incontravo tanta gente, e c’erano insomma così tante possibilità, combinazioni, suggestioni che prendevo perfino un taxi, rincorrendolo per la strada.