Da qualche giorno sento che c’è qualcosa che non va. Ma non voglio ammetterlo, e quando leggo i dati giornalieri dei nuovi contagi e non li trovo rassicuranti, per un attimo fingo di non averli letti. Poi ammetto di averli letti ma dico a me stessa che vanno contestualizzati, che è complicato, e ogni volta ripeto una cosa che mi piace molto anche se non so esattamente cosa significhi. Dico: minor virulenza. Minor virulenza mi calma, minor virulenza mi fa pensare a qualcosa di indebolito, che giorno dopo giorno perde altra forza, fino ad arrivare a nessuna virulenza, a un abbandono per debolezza estrema, come la pioggia quando evapora sotto il sole. Ma non sembra che quel giorno stia arrivando, non come avevamo sperato, e in più ci sono questi banchi fantasma, monoposto, per la scuola del Covid, con un’idea di mondo così desolante (ho giurato che non dirò mai distopica), così stonata rispetto al senso stesso dell’andare a scuola come l’abbiamo sempre conosciuto, che mi assale un altro pensiero e non riesco a scacciarlo: e se questa fosse l’ultima estate? L’ultima estate dopo la tempesta e prima dell’altra tempesta. Un’estate di passaggio in cui cerchiamo di divertirci, essere normali, nuotare il più possibile, salire il più in alto possibile in montagna, salutare tutti gli amici, abbracciare tutti i genitori, con queste mascherine legate al braccio, al polso, nella borsa, con i termoscanner sempre in funzione fingendo che sia soltanto un gioco, esercitando questa prudentissima libertà di andare quasi dappertutto, perché poi a settembre chissà.
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