Il racconto
Lo schiaffo improvviso e violento a un bimbo di tre anni. “Mamma”, ha detto lui stupito
In quel momento sul balcone è uscito un uomo, un uomo grande e grosso in canottiera bianca che gli ha tirato uno schiaffo fortissimo. Non una parola, non un gesto che potesse far presagire quel momento
La strada si arrampicava attraverso un susseguirsi di montagne. Montagne rocciose illuminate da un sole caldo che le faceva quasi brillare. Il cielo era terso, libero da qualsiasi nuvola. Di tanto in tanto case di legno con tetti di pietra grigia e piatta. Sul balcone di una di queste un bambino di poco più di tre anni stava giocando.
Giocava in maniera rumorosa, emettendo piccole urla simili a quelli di un giovane falco che sperimenta il suo verso per imitare quello della madre. In quel momento sul balcone è uscito un uomo, un uomo grande e grosso in canottiera bianca che gli ha tirato uno schiaffo fortissimo. Non una parola, non un gesto che potesse far presagire quel momento. Nessun lampo capace di avvertire del pericolo di un fulmine imminente. Solo uno schiaffo, potente come un pugno. Il bambino è caduto su una scopa sbattendo violentemente contro il muro. Non piangeva. Non ne aveva avuto il tempo. L’uomo grande e grosso era pronto a colpirlo di nuovo, con gli occhi placidi e bovini di chi crede di essere nel giusto.
E’ arrivata di corsa una donna urlando di smetterla, che quello schiaffo così forte non era necessario, di darsi subito una calmata. L’uomo è sparito dietro le tende senza dire una parola, senza cambiare neppure espressione. “Mamma”, ha detto il bambino prima di scoppiare a piangere, come se fosse venuto al mondo un’altra volta, resuscitato in un atto doloroso e violento come la nascita. Piangeva tenendosi la mano sulla guancia, rossa e gonfia. Piangeva di rabbia e di paura, con il rancore stupito e adesso sospettoso di un bimbo maltrattato.
“Che cosa avete da guardare?” ha urlato la madre nascondendo suo figlio dagli occhi degli altri. Occhi viscidi e curiosi, occhi spaventati e confusi, occhi giudicanti e morbosi. Proteggendolo dalla sguardo avido della normalità di un giorno qualunque. Le urla si fondevano tra loro creando una sinfonia cacofonica e confusa. Il bambino adesso piangeva disperato, tenendosi stretto al petto della madre, cercando un rifugio sicuro e oscuro come il grembo, come se dalla prigione della sua carne si fosse reso conto di essere nell’indicibile prigione di questa terra e volesse tornare indietro. Poi entrambi sono rientrati in casa, la madre ha sbattuto la porta finestra con violenza, tanto che i vetri hanno iniziato a vibrare. La finestra era già rotta, il vetro era sul punto di moltiplicarsi in tante piccole schegge taglienti. Un signore che passava di lì e – come tutti – era rimasto ipnotizzato da quella scena ha semplicemente detto: “Se lo sarà meritato”.
Cosa può aver fatto di tanto grave un bambino di poco più di tre anni per meritarsi uno schiaffo del genere? Troppo rumore nel giocare sul balcone?
Nessuna nuvola in cielo, nessun modo per evadere da quelle parole che normalizzavano un momento estremamente violento, improvviso e per questo inconsueto. Colpevolizzare il bambino ha fatto lavare le mani a tutti nella fonte spumeggiante e abbondante dell’ipocrisia. Li ha tranquillizzati. Qualcuno ha annuito, d’altronde uno schiaffo è una cosa accettata da molti. Per alcuni persino necessaria per la creazione di una persona che crescendo saprà che la vita è dolorosa e questo l’avrà imparato tra le mura di casa. Il paesaggio era meraviglioso e faticoso, perché un conto è poterlo ammirare, altro è camminare e conquistarlo un passo dopo l’altro.
Il volo del falco
Alla fine del sentiero ecco il lago limpido, il riflesso del sole galleggiava morbidamente formando un percorso dorato sull’acqua. Il finto silenzio della natura era pieno di micro rumori: le foglie mosse da un vento leggero, qualche uccellino che cinguettava e il dolce suono di un ruscello lontano. D’un tratto il verso stridulo di un piccolo falco in volo che con le ali spiegate ha interrotto quella quiete rilassante. Il suono che emetteva non era così differente da quello del bambino sul balcone. Il falco volava libero, formando lettere indecifrabili con i suoi movimenti. Un linguaggio sconosciuto dove le parole possono avere qualsiasi significato.
Uno schiaffo, una montagna e una finestra rotta.
Verso sera, calde strisce di luce dai contorni indistinti nascevano filtrando tra gli spazi vuoti dei rami degli alberi mentre il sole stava morendo. La fredda sera della montagna stava arrivando abbracciando ogni cosa. Su quella stessa strada dove al mattino c’era un viavai frenetico di persone in movimento ora non c’era nessuno e quella finestra rotta era ancora chiusa. C’era uno strano, macabro silenzio.
Ormai era buio.
Mia nonna, parlando di suo padre, mi raccontava che prima ti picchiava e poi ti rimboccava le coperte. E in quelle coperte lei cercava di addormentarsi cullata dalla paura di volergli bene.