Il Figlio

Uragano d'amore

Simona Siri

Il dolore che mi vergognavo di provare e il lutto di un’adozione perduta. Poi eccola, Ella Mae

In quattordici mesi sono diventata madre due volte. In nessuna sono stata incinta. La prima volta è stata nel maggio del 2019 quando l’agenzia ci parlò di Candace. Trentenne, della Louisiana, famiglia un po’ sbandata, già cinque gravidanze alle spalle oltre quella in corso. “Vuole una famiglia non troppo giovane e senza figli, voi siete perfetti”, ci disse l’assistente sociale. La prima telefonata con lei fu surreale. Paralizzati dalla paura di dire qualcosa di offensivo – l’adozione ha un linguaggio suo giustamente politicamente corretto per evitare di far sentire in colpa la madre biologica – io e mio marito balbettammo considerazioni sciocche sul clima di Baton Rouge, dove lei viveva. “Se la situazione fosse inversa, sceglierei me stessa per far crescere il mio bambino?”, continuavo a ripetermi, trovandomi ogni volta stupida e inadeguata, persino indegna nel mio desiderio di diventare madre ora, quando era troppo tardi. Eppure.

 

“Ha scelto voi”, ci comunicò l’agenzia. E in quel momento lo diventai davvero, una madre. Per 7 mesi io e Candace ci parlammo al telefono almeno due volte a settimana, ci scambiavamo foto e confidenze, l’accompagnavo virtualmente dal dottore una volta al mese, commentavamo i risultati della ecografia in tre dimensioni facendo battute sulle dimensioni del naso della bambina. Cresceva nella sua pancia, ma anche dentro di me. Ingrassai, persino. “Come la chiamerete?”, mi chiese un giorno. Di nuovo, quella sensazione di imbarazzo questa volta mista a paura vera. E se non le piace il nome e cambia idea? Gliene proposi tre, scelse quello che avremmo scelto anche noi. A dicembre mi mandò le foto degli altri suoi bambini. Io mandai regali a tutti: erano i fratelli biologici di mia figlia, già sentivo di amarli. Mi chiese se volevamo essere presenti al parto. Rispondemmo di sì. Nella mia mente immaginai l’incontro decine di volte. Ci saremmo abbracciate? Sicuramente io avrei pianto. Sarei stata in grado di dirle quanto riconoscente ero per quello che stava facendo per me e a Dan? Probabilmente no.

 

Ci sono parole adatte da dire alla donna che sta per darti suo figlio? Io non le sapevo. Una settimana prima della data di scadenza, Candace sparì. Nessuna risposta ai messaggi e alle telefonate. Neanche l’agenzia aveva più notizie. “Può succedere”, ci spiegarono, cercando di rendere razionale una situazione che non lo era stata mai, figurarsi ora. Improvvisamente niente aveva senso. Candace aveva il diritto di cambiare idea. Dan da uomo faceva più fatica, ma io la capivo, eccome se la capivo, e anzi mi sentivo stupida ad aver creduto che una donna potesse davvero separarsi da suo figlio. Il dolore che provavo – viscerale, totalizzante - non sapevo neanche se avevo il diritto di provarlo. Sapevo che era il dolore di una madre che ha perso un bambino, ma mi vergognavo a dirlo, persino a pensarlo. Piangevo per ore, ma di nascosto. Al telefono con amici e parenti minimizzavo: sì, certo, supereremo anche questa, siamo forti, ci amiamo. Intanto dentro di me qualcosa si era rotto. Avevo sempre sognato di adottare, ancora prima di sapere che non potevo avere figli. Non ci credevo più. Non avevo da elaborare un lutto solo, ne avevo due: quello per la bambina e quello per un sistema che mi sembrava inutilmente crudele. Mi feci giurare da Dan che non ci avremmo più riprovato: avevamo una vita bella e felice anche così.

 

Stavo entrando nella fase dell’accettazione, quando il telefono squillò di nuovo. Questa volta la bambina era in Florida, già nata. “Andiamo”, mi disse Dan con gli occhi lucidi. L’abbiamo chiamata Ella Mae. A differenza di Candace, non abbiamo mai parlato né incontrato i genitori biologici, hanno voluto così. Ogni mese carichiamo delle foto sul portale dell’agenzia dove loro, se vogliono, possono vederle. Sappiamo i loro nomi di battesimo e qualche informazione generica – età, etnia, peso, altezza. Non abbiamo il certificato di battesimo, solo i documenti dell’adozione. Quando sarà più grande, Ella avrà accesso a tutto. E la sosterremo qualsiasi decisione prenderà. Sappiamo che ha un fratello biologico nato l’anno scorso, pensiamo che per lei sarà importante avere un rapporto almeno con lui, ma spetterà a lei. Improvvisamente l’adozione mi sembra di nuovo quella cosa magica e meravigliosa che ho sempre immaginato che fosse, un uragano di amore che travolge e rimescola tutto, creando realtà nuove, impensabili, imprevedibili. Guardo gli occhioni neri enormi di questa bambina che amo già immensamente e che sento mia al mille per mille, ma neanche per un istante mi sfugge la grandezza della tragedia che sia nata da un’altra donna, e la profondità del privilegio che tra tutte lei abbia scelto me, abbia fatto madre me.

 

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