Appena comparso in libreria ho evitato accuratamente il libro di Francesca Nava, Il focolaio. Da Bergamo al contagio nazionale (Laterza), guardandolo di sfuggita, evitandolo, scansandolo quasi dai banchi della libreria ogni volta che mi capitava a vista. Che fiducia potevo mai dare ad un’inchiesta giornalistica che sarebbe sicuramente stata superata dagli eventi? E poi nonostante la stessa Francesca Nava sia di Bergamo (come lo sono io) che fiducia dare al racconto di una città e di una terra così impermeabile alle narrazioni? Meglio lasciar perdere, meglio evitare questo facile gioco al racconto, all’inchiesta che ci tormenta ogni volta che un fatto diviene discorso comune. Poi un amico di poche parole e non facile ai complimenti (e ancora meno agli entusiasmi), – bergamasco anche lui, quindi – ha scritto di questo libro e ne ha parlato bene. Semplicemente bene. E allora Il focolaio che avevo nascosto sotto pile di altri libri improvvisamente è tornato a cercarmi in questi giorni in cui il dramma delle terapie intensive è nuovamente un fatto quotidiano. E ho fatto i conti così con i miei pregiudizi e con una terra natale che vedo da lontano ormai da mesi se non per dei faticosi e fuggevoli ritorni.
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