Sbucciarsi le ginocchia a Londra, con la mamma, e a Firenze, col papà. Il dolore lieve
L’altra mattina, nel lungo e deserto marciapiede dietro l’angolo di casa mia, da lontano mi è corso incontro un buffo bambino. La sua corsa non era propriamente da atleta: piuttosto scomposto, caracollava dimenando le braccia come le ali di un goffo papero che cerca di volare. Poi è inciampato, si è piegato senza metter le mani avanti ed è finito affrittellato sul selciato a un paio di metri da me. Un urlo e un pianto acutissimi. Molto dietro di lui lo seguiva la madre indaffarata col cellulare ma vigile alla corsa del figlio. Lui mi ha guardato con gli occhi bagnati di lacrimoni. Cercava aiuto e conforto. Mi sono fatto subito avanti, piegandomi, ma con la coda dell’occhio ho visto la madre che affrettava il passo. Ho pensato che non dovevo permettermi di star vicino al bambino (lui non aveva la mascherina) e toccarlo per aiutarlo a rialzarsi.
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