Il Figlio
Il principe delle fate
La bella favola di Magda Zsabò sul potere e una nuova stampante contro la dittatura
L’altro giorno ho comprato una stampante. L’ho fatto perché non sopporto più di chiedere a mio padre di falsificare la mia firma e scannerizzare documenti per me, di aspettare che la stamperia sotto casa mia apra, di sperare che l’edicola di fianco non abbia finito la carta proprio un attimo prima del mio arrivo, mannaggia, che sfortuna, incredibile, se vuole ripassi domani. Non sopporto più di mentire e pensare che tornerò alla mia vita di prima, uguale a prima, con gli abbracci, i baci occasionali, il respiro libero, l’egoismo, i concerti, la disponibilità della segretaria del giornale, di cui ho abusato per anni, pensando che io avessi da fare cose più serie e che dovesse sempre esserci qualcuno pronto a fare una fotocopia al posto mio, convinta, in fondo, in quel fondo dove ristagnano le mie convinzioni peggiori, che io ho faticato e fatico tanto nella vita proprio per poter disporre di qualcuno che faccia al posto mie le cose più semplici e noiose, che sono libera fintanto che posso dispensarmi dal fare le cose più semplici e noiose perché c’è qualcuno che mi agevola e facilita, così che io possa razzolare nel mio beato iperuranio.
Configurare quella stampante wifi ultimo modello leggerissima agilissima vedrà signorina anzi signora vedrà, è stato peggio di come immagino sia partorire, peggio di avere a che fare con l’ufficio anagrafe del Comune di Roma, ma non peggio di stampare, che a sua volta non è stato peggio di scannerizzare. Niente è stato peggio di scannerizzare, una trafila buro-tecnocratica che sembrava non finire mai, per ogni consenso accordato me ne venivano chiesti altri tre, sono certa di avere a un certo punto firmato per donare gli organi da viva. E’ stato terribile. Ma ce l’ho fatta. Ora stampo scannerizzo fotocopio che è un amore, euforica. Perché? Sono a un passo dal panificare, dalla riscoperta dei veri valori della vita, dal ricongiungimento con i mestieri artigiani? No. E’ una questione politica, e anche d’umanità, di cuore umano.
“Lolò non era un fatino regolare: non gli piaceva ballare la danza dei rubini, viaggiare in una bolla di sapone, esercitarsi negli incantesimi di base, chiacchierare tra i fiori. Era costantemente affaccendato in qualche attività, quando non sapeva cos’altro inventarsi, si metteva a svitare le gambe delle sedie della reggia e provava a tornirne di nuove”. Lolò abita in una favola che porta il suo nome: "Lolò, il principe delle fate", e che Magda Szabò ha scritto quando in Ungheria c’era il regime socialista che controllava e censurava la letteratura, e infatti quasi tutti gli scrittori erano fuggiti, ma non lei, lei aveva scelto di starsene in campagna e fare l’insegnante e mettere in un cassetto tutto quello che scriveva, in attesa che quell’orrore finisse. Lolò è il figlio della regina delle fate, Iris, che lo ha ricevuto in dono da un albero di fico, il giorno della sua incoronazione, quindi Lolò non ha un papà.
Si candida a fargli da padre un orrido vecchio mago, che vuole sposare sua madre e impadronirsi del regno, e quasi ci riesce, perché le fa credere che quel bambino così curioso, vispo, ambizioso, così fermo nel voler fare tutto, nel volersi provare in tutto, indisponente e irrequieto, sia un bambino malato. Ma Lolò è sano come un pesciolino, e in lui Magda Szabò ripose il senso dell’essere cittadini in una democrazia, dell’essere uomini dentro un mondo di uomini: agire, fare tutto. Non supervisionare, non demandare: agire. Rifiutare le agevolazioni, diffidare di chi vuole farti vivere in un regno incantato, diffidare dei piani spianati, delle semplificazioni. I dittatori questo fanno: dicono faccio io, così voi potete annaffiare i gerani, faccio io, così faccio a modo mio, faccio io, così voi non dovete fare niente, beati.
Magda Szabò non poteva scriverlo in maniera diretta e costruì una storia stupenda sul potere, le fate, le ali, gli unicorni, la verità, i maghi, una favola dove i bambini, come in Harry Potter, s’incaricano del mondo, senza il filtro degli adulti, senza i loro permessi, le loro classificazioni striminzite e decolorate. Lolò è arrivato nelle librerie italiane ieri, grazie all’editore Anfora, mentre dall’Ungheria arrivavano notizie dei musi lunghi di Orbàn, dei suoi veti bislacchi. L’anno scorso in Ungheria la favola di Lolò è stata rappresentata in teatro, alla prima erano presenti certi sottosegretari del suo governo che redarguirono il regista, ritenendo lo spettacolo sobillatore, minacciandolo di far chiudere baracca, se pure sapevano che non l’avrebbero fatto, perché avrebbero così confessato d’essersi sentiti punti sul vivo. Dimenticavano che Lolò è un libro obbligatorio per gli studenti della quinta elementare: a questo serve la scuola, a proteggere le storie di chi non vuole farsi bastare niente, di chi vuole fare tutto.