il figlio
Luglio 1982, l'euforia della vita adulta e un urrà da rimanerci incinta
Grazie al grande Paolo Rossi, io so che quel giorno esistevo già (e altre scoperte tardive)
In quegli anni incredibili – se mai sono esistiti – in cui la bambina ero io e soltanto io, quella che doveva andare a letto presto, quella che non riusciva a mangiare gli spaghetti, quella che leggeva Tiramolla seduta su una seggiolina di vimini in balcone, Paolo Rossi arrivò una sera nell’appartamento al mare di mia nonna, e grazie a lui adesso ne sono sicura: l’11 luglio 1982 io esistevo già. Di tutto il resto non so granché, ma quella volta c’ero. Non capivo niente di calcio, avevo sette anni e non ho capito mai più niente di calcio, anzi ho dato il massimo quella sera e poi mai più, solo perché volevo far contenti mio padre e mio nonno e mia madre, che a tutte le partite urlava come una pazza, e quella sera urlò tanto che buttò giù i muri e poi restò incinta. Quindi io esistevo già ed ero figlia unica, ma grazie a Paolo Rossi non sono più figlia unica. L’ho appena scoperto, ammetto di essere un po’ scioccata, anche perché l’appartamento di mia nonna era davvero piccolo e io dormivo nel divano letto che cigola: voglio resistere alla tentazione di ricordare che su quel divano letto che cigola ci dormivano di solito i miei genitori e io invece dormivo nel letto a castello della stanza piccola, detta la stanzina, ma quella sera facemmo scambio e nella stanzina ci andarono loro. Non me lo sto ricordando, mi ricordo invece che fu una notte meravigliosa, la prima notte della mia vita in cui uscimmo di casa alle undici di sera a festeggiare, la notte da campioni del mondo, e mio nonno era tanto commosso e piangeva di gioia e quando tornammo a casa russava fortissimo, russava di gioia. Avevo passato il pomeriggio a disegnare, colorare e ritagliare una bandiera dell’Italia per appenderla al balcone, ma era piccola, troppo piccola, diceva mio nonno a cui piacevano le cose grandi, i piatti enormi di spaghetti alle vongole, i tovaglioli grandi per non macchiarsi di sugo e l’inno di Mameli da cantare in piedi con mia nonna, in quel mezzo metro tra il divano che cigola e la tivù con i pulsanti. La mia bandiera era davvero striminzita e io me ne vergognavo, ma soprattutto avevo paura che a mio nonno si fermasse il cuore perché si agitava troppo davanti alla tivù, si alzava dal divano letto che cigola, spariva in camera da letto, ricompariva sul balcone e rientrava lì dove eravamo tutti, ammazzava una zanzara con una manata, nervoso per il rigore sbagliato e tutti erano nervosi e allora ero nervosa anch’io e mi battevo anche io le mani sulle cosce e sulle braccia per ammazzare le zanzare e pregavo Paolo Rossi, perché mio padre e mia madre avevano grande fiducia in Paolo Rossi, che era poco più giovane di loro, e avevano grande fiducia anche in Dino Zoff. Io pregavo Paolo Rossi e Dino Zoff perché a mio nonno non si fermasse il cuore. Quella gioia, poi, non posso dimenticarla mai. Le urla di mia madre a ogni gol, la sua bellezza: quella sera scoprii che cos’è la felicità degli adulti che si abbracciano e gridano.
Quella sera scoprii che quando si è molto felici ci si abbraccia anche tra sconosciuti, e che di quella felicità rumorosa e collettiva gli adulti hanno bisogno anche più dei bambini. Mia madre era così esaltata che noi tre uscimmo di casa vestiti di verde bianco o rosso, con in mano la bandiera striminzita, per incontrare i nostri amici, anche loro vestiti di verde bianco e rosso e unirci alla folla verde bianca e rossa: io mangiavo il gelato con la mia amica verde bianca e rossa mentre loro bevevano birre e salutavano tutti, ridevano e cantavano e ballavano, ed erano adulti ma erano giovani e noi eravamo solo due bambine che guardavano i grandi, ed eravamo euforiche perché loro erano euforici. Quando, molto tardi, tornammo a casa, io filai subito a dormire, e non so altro. Ma quella gioia durò per settimane, quell’esaltazione non lasciava l’appartamento del mare, mentre la mia bandierina finì subito calpestata per strada. Grazie Paolo Rossi, per avermi mostrato l’euforia della vita adulta, e grazie infinite, molto più che infinite, per mia sorella.