Hai preso il blocchetto?” Ultima domanda prima di partire. “Sì, certo”. Il punto è che gli scacchi non si giocano, si disegnano, e quando si parte per un torneo non va portata la scacchiera, mai. Ai tornei le scacchiere ci sono già, ma per allenarsi serve il disegno, l’immaginazione, la strategia, l’arte e questa è una delle prime regole di mio padre negli scacchi: disegna le mosse. Il viaggio in macchina verso il torneo era una partita a scacchi tutta di testa. “A te il bianco”. “Pedone in F4”. “Così ti esponi subito, aspetta”. Mio padre vinceva sempre perché io mi dimenticavo le mosse fatte, i pezzi già mangiati, lasciavo le torri a poltrire nei loro angoli. Più le sconfitte si sommavano in queste partite immaginarie, più la paura per i tornei aumentava, perché durante le competizioni i bisbigli, i paesaggi, la particolarità di un pedone o l’intarsio di una scacchiera diventavano improvvisamente per me interessantissimi, molto più della mia partita e del mio avversario. “Ricordati di essere veloce”, era la scialuppa di salvataggio, il consiglio che forse mio padre non avrebbe mai voluto dare, perché negli scacchi la velocità non è una virtù, ma per me era una necessità: più durava una partita più la mia testa si allontanava dal tavolo da gioco e tornava al paesaggio, al tormento per l’intarsio.
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