Il Figlio
L'asimmetria. Fra due amanti, c'è sempre chi attende
“Lasciatemi soffrire tranquillo”. Per definirsi simmetrici, due amanti dovrebbero non solo essere in equilibrio, ma esserlo in modo definitivo. Va da sé che, negli infiniti risvolti di una relazione, equivale a essere morti
Nella nuova casa, c’è un ballatoio che affaccia sul cortile interno. Ancora scalza, stamattina, ho guardato la quinta del palazzo a destra e un’unica riga di grigio sopra i tetti degli edifici, e ho pensato all’anno passato, e più del resto quello che mi sembrava d’aver fatto era questo: attendere. Mentre fissavo sempre lo stesso scorcio, mi sono detta che la simmetria, due elementi che si integrano senza generare eccessi, questa misura perfetta, nei rapporti di coppia non esiste. Fra i due amanti, ce n’è sempre uno a cui tocca la condizione d’attesa. Uno che un po’ rincorre l’altro e vorrebbe che l’altro fosse, mostrasse, dicesse, si decidesse. Per definirsi simmetrici, due amanti dovrebbero non solo essere in equilibrio, ma esserlo in modo definitivo. Va da sé che, negli infiniti risvolti di una relazione, congelarsi in uno stato conclusivo, al riparo dai cambiamenti, equivale a essere morti. Sono simmetrico a te che poggi sullo stesso gradino di questa scala immaginaria che è la nostra vita insieme, solo nel caso in cui il gradino fosse l’ultimo: solo se ci siamo lasciati, quindi, o se siamo stati colti da un malore nel momento in cui eravamo uno accanto all’altro senza qualcuno a rincorrere l’altro. La simmetria, mi sono detta, può darsi come accidente transitorio. Oppure trantran: non ho le energie, ho smesso di chiedere, di aspettare, di aspettarmi, basta che funzioni, fai come vuoi. Nell’ultimo romanzo di Adelio Fusé, Le direzioni dell’attesa (Manni Editore), ci sono due amanti, un’aspirante scrittore che ha rinunciato a scrivere e un’attrice incline a recitare anche nella vita, nella coppia. Soprattutto c’è lei che sparisce all’improvviso e lui che, frastornato, attende. Immaginiamo uno strappo, l’abbandono. Immaginiamo il suono che attraversa quel momento, e il gelo. “Sentì quel silenzio prolungarsi fino a sera, attraversare la notte, il giorno successivo, un’altra notte e un altro giorno ancora.” Ognuno fa esperienza della fine prima o poi, e ognuno reagisce come può. Di solito, delle due l’una: smettere di fare o sovraccaricarsi.
Quando è capitato a me, io ho scelto di stordirmi, lasciarmi confondere dal lavoro, gli amici, la sera, di essere sempre stanca, anche se poi non lo ero mai abbastanza.
Walter, il protagonista di questo libro che narra d’amore e di asimmetrie, per combattere l’abbandono fa i bagagli, parte. Va in giro per il mondo e aspetta di vedere Alina comparire di nuovo. E forse un po’ si affeziona a quel silenzio e persino allo struggimento. In una delle loro riconciliazioni, appena Walter si trova davanti il suo rivale, un uomo di nome Charles, e urla ad Alina che non gli interessa più, che i loro litigi hanno smesso di riguardarlo, lei serafica dice: “Ora sono qui con te, la distribuzione dei ruoli è chiara”. “Ma qui non siamo a teatro”, ribatte lui. E lei: “Siamo sempre a teatro”. Ci si affeziona al ruolo che ci capita di interpretare, ci si affeziona persino al dolore. In un’intervista Vittorio Gassman dichiarò che amava leggere Heidegger non meno di quanto amasse l’immagine di sé che leggeva Heidegger: vale la stessa regola nei sentimenti? Somiglia al teatro, l’amore, è anch’essa arte di comporre drammi? Nel momento in cui Walter e Alina si ritrovano a Lisbona dove il fantasma istituzionale della città, Fernando Pessoa, è ovunque e ovunque risuonano le sue poesie, sono questi i versi che Adelio Fusé fa suoi: Il poeta è un fingitore / Finge così completamente / Che arriva a fingere che è dolore / Il dolore che davvero sente. “Lasciatemi soffrire tranquillo”, si doleva Troisi in Pensavo fosse amore e invece era un calesse, “voglio solo soffrire bene, mi distraete, soffro male, soffro poco, non mi diverto”. Ancora ferma lì, sul ballatoio della nuova casa, ho guardato il prato consunto e ho pensato a quanto fosse asimmetrico quel mio rapporto. Ci ho messo tanto per ammettere che era finito, e tanto per andare via, ma ora l’attesa inizia a somigliare a qualcosa di diverso, qualcosa che è pronto a dispiegarsi.