Ingmar Bergman e Liv Ullmann (foto di Keystone/Hulton Archive/Getty Images) 

il figlio

Scusate il ritardo

Giacomo Giossi

  “Non stare nella corrente”. L’ossessione di Bergman per il vento e la puntualità

Se tuo padre è Ingmar Bergman, uno dei geni del Novecento, il regista per eccellenza, e tua madre Liv Ullmann, grandissima attrice, allora è fondamentale imparare a stare in equilibrio. La piccola Linn si esercita da subito, imparando con pennarelli ed evidenziatori a disegnare mappe e cartine, una passione che le darà conforto e rifugio anche superata l’infanzia. Linn in verità porta il nome di Karin Beate come le sue due nonne, ma verrà sempre chiamata con quel nome breve che pare essere una crasi tra i nomi del padre e della madre. E’ la nona figlia di Bergman, nata quando lui aveva 48 anni dalla storia d’amore con Liv Ullmann, conosciuta solo un paio di anni prima e portata sull’isola. Una relazione che si sovrapporrà alle altre nel movimento continuo e caotico della vita sentimentale di Bergman. Linn Ullmann, che porta il cognome di sua madre, è diventata una scrittrice importante e ha scelto per questo libro la forma del diario di lavoro, la più vicina alla vita di suo padre. La più in equilibrio con i ricordi. 

 

Linn Ullmann (foto Agnete Brun, via Wikipedia CC BY-SA 3.0)
 

L’equilibrio per Linn diviene una questione cruciale che si sintetizza in due movimenti: l’ascolto e la puntualità. Il padre è il maestro riconosciuto e venerato con l’ossessione degli orari, e ha estremo bisogno dei suoi spazi per riflettere e lavorare, la madre è sì un’attrice famosa, ma è anche una giovane donna che con una figlia fuori dal matrimonio nella Norvegia degli anni Sessanta vive il disagio della solitudine e anche del discredito sociale. 

 

Linn deve allora lottare per dare forma ad una realtà che quasi oppone il padre e la madre: ciò che fa bene all’uno sembra infatti fare male all’altro. E qui si inserisce un terzo elemento che rafforza ascolto e puntualità, ed è la distanza. Perché esiste una distanza esatta e precisa dentro la quale è possibile stare nelle cose, dentro la quale parlare con Ingmar Bergman, dentro la quale svelare la sofferenza e il desiderio di libertà di una donna come Liv Ullman che di volta in volta appare non solo madre, ma anche sorella.

 

Sono obblighi apparentemente innocui quelli che Bergman impone alla figlia, ma in verità feroci perché resistere a tali regole non è facile. Solo dopo una certa età Linn ha accesso allo studio del padre, su sua indicazione e con relativo orario prefissato. Sono incontri programmati e lui li chiama “sedute”. Per lei sono la prima occasione per parlare con il padre. Non che Bergman manchi di affettuosità e pazienza, ma l’impressione è sempre quella della fragilità: per un nonnulla lui potrebbe arrabbiarsi, perdere le staffe e lei lo avverte e così lo trasforma da ostacolo, da angosciante stato in una forma di linguaggio dentro a cui stare. Lui ha molta paura dei raffreddori e dice sempre: non stare nella corrente.

 


In una giornata come tante sull’isola di Fårö mentre Linn lo aspetta per la proiezione di un film – è un rito importante al quale bisogna arrivare in anticipo- nel fienile riadattato a piccola sala cinematografica, lui arriva in ritardo di quindici minuti. Un avvenimento incredibile. Lui arriva e fa finta di nulla, ma lei si accorge che è un po’ affaticato: ormai è un uomo anziano e inizia anche a dimenticare le parole, incespica nei ricordi. La fragilità di Bergman diviene l’occasione per Linn non solo per prendersi cura del padre, ma anche per prendersi cura della loro relazione. Linn gli propone così di fare una serie di conversazioni da registrare, anzi gli propone di fare un lavoro insieme, unico termine che lui riconosce come primario e che lo convince ad accettare.

 

Gli inquieti, tradotto da Katia Bagnoli per Guanda, è una storia semplice, quella di una figlia che riconosce sul suo corpo e tra i suoi pensieri le tracce della madre e del padre. La mappa della lotta e della pace, della vita e della morte nella loro sorprendente capacità di essere finite e infinite al tempo stesso. Come la foto in copertina e come le gracchianti registrazioni dei nastri, che Lin Ullman riascolterà con dolore, quello che resta è la sfocatura di un incontro, di un tempo che si è riusciti ad afferrare al momento giusto.
 

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