Il Figlio
Le aspettative
Mio padre aveva deciso di non parlarmi più perché non ero quello che sperava
Un giorno che sembrava come tutti gli altri rientro a casa da scuola, poso lo zaino all’ingresso, mi siedo a tavola e scopro che mio padre aveva deciso di non parlarmi più. Lo saluto, lo chiamo più volte, ma non mi risponde. Indago con mia sorella, chiedo a mia madre, nessuno sembra saperne nulla. Devo aver fatto qualcosa di sbagliato, mi dico, ma non capisco cosa, e ancora oggi non so dire se fa più male convivere con la consapevolezza di un errore o con la sua mancanza, come con un arto fantasma. Ha scoperto le cartine lunghe che nascondo nella tasca interna dello zaino, forse. O forse ha ascoltato, alzando la cornetta del telefono dalla sua stanza, mentre con Annalisa pianificavo di fare sega, per andare in motorino al mare, prendere un caffè, fumare una sigaretta, prendere un altro caffè.
Una sera che sembrava come tutte le altre, Alanis Morissette a volume basso nella mia stanza, finisco la versione di greco, chiudo con un tonfo sordo il Rocci e vedo un foglio bianco e stropicciato spuntare da dove non avrebbe dovuto spuntare. Scrivo da sempre, soprattutto d’amore, anche se in passato l’ho chiamato amicizia, quando avevo paura di chiamarlo col suo nome. Lui aveva gli occhi celesti, capelli castani che a me sembravano grigi, ricci d’argento, uno sguardo da husky annoiato che non conosce la neve e quindi non sa cos’è che gli manca. Gli avevo dedicato una lunga dichiarazione d’intenti, avevo deciso tutto io, saremmo diventati amici, ma non amici come gli altri, amici diversi da tutti. Lo avevo incontrato al cinema, per caso, addirittura due volte, gli stessi due film, le stesse due domeniche pomeriggio, e lì avevo capito che forse il nostro destino era già scritto o, comunque, lo avrei scritto io, in una lettera che però non gli avrei mai inviato. L’avrei riposta in un cassetto dove nessuno sarebbe mai andato a cercarla.
Nessuno, come mio padre. Non so se riguarda tutti noi genitori, quella paura che è urgenza di sapere, di violare il segreto che appartiene a ogni figlio, capire perché, capire come è successo, capire come sia possibile che quella persona, proprio quella che noi abbiamo messo al mondo, non ci somigli come avremmo desiderato, manchi di essere la copia perfetta delle nostre aspettative. Mio padre aveva cercato tracce, indizi, prove schiaccianti del mio essere diverso, come tutti. Leggendo le mie parole, aveva perduto le sue. Lo avevano forse offeso, deluso, spaventato. Avrebbe ricominciato a parlarmi dopo una settimana, senza mai dirmi perché aveva smesso. Ho vissuto la mia vita di figlio portandomi addosso, e dentro, il peso delle aspettative altrui, e vivo oggi la mia vita di genitore con la missione di sollevare i miei figli da quel peso, liberarci tutti da quel male.
Un giorno che sembrava come tutti gli altri, Lorenzo rientra a casa dall’asilo, posa lo zaino all’ingresso, va a lavarsi le mani, poi torna, apre lo zaino, chiama prima papà Nicola, poi chiama anche me e ci mostra orgoglioso il disegno che ha fatto in classe: “Questo sono io. Questo è Marco”. Sono linee sempre più nette, ma i colori sembrano ancora seguire la meraviglia del caso. I capelli di Marco sono ricci, in effetti. Per i suoi, che sono biondi, ha usato il giallo, come avrei fatto io. Intorno a Lorenzo e a Marco ci sono molti cuori sbilenchi, sullo sfondo un arcobaleno, mentre si tengono per mano. Gli dico che è un disegno bellissimo, che sta diventando sempre più bravo, che sono felice di vedere quanto lui voglia bene a Marco. “Però, papà, io non mi voglio fidanzare con lui”, dice. “Ti innamorerai di chi vorrai tu”, gli rispondiamo noi, ma capisco che le aspettative, forse, più che una condanna, sono una maledizione, che grava su di noi, a prescindere da noi. Nutrirle, certo, è come sfamare il lupo cattivo. Eppure, vivere nell’illusione di non farlo, non ci mette del tutto in salvo: è come ignorare il lupo e lasciare che se ne vada in giro affamato, pronto a saltarci addosso. Non possiamo fare altro, allora, che costruire intorno ai nostri figli una favola diversa: il lupo c’è, ma lo teniamo a bada.
Mattia Zecca
E' in libreria con "Lo capisce anche un bambino" (Feltrinelli)