Due ragazze sedute in una strada allagata dal vicino fiume Elba nel centro di Meissen, Germania (Sean Gallup/Getty Images) 

il figlio

Le notizie? Solo su Tik Tok e Instagram. Le scoperte di un inaspettato maternage

Gaia Manzini

Troveremo il nostro posto nel mondo. La speranza di aver acceso una qualche vocazione tra le mille emozioni, l’illusione di uno scambio di scintille

Abbiamo iniziato dagli oggetti che ci potevano descrivere: loro hanno portato molti fiori e qualche canzone; io avevo in borsa una confezione di colla. La colla ideale che mi è sempre servita per attaccare insieme le tante parti di me, i miei percorsi ondivaghi, le mie mille divagazioni. Non sapevo che, in quei giorni, la colla sarebbero stati loro: loro mi avrebbero restituito al cuore di settembre più integra. Quest’anno, al ritorno dalle vacanze più tumultuose della mia vita, ho coordinato per un festival che amo un gruppo di ragazzi tra i sedici e i diciotto anni. Un lavoro intenso di una settimana per portarli a intervistare sul palco quattro autori affermati: Floriana Bulfon, Pif, Marie-Aude Murail, Mario Desiati. Non ero sola, con me c’erano tre guide esperte; ma la linea di lavoro avrei dovuto darla io. 

  
Quel primo giorno, in cerchio come una nuova famiglia, non so come dagli oggetti abbiamo cominciato a parlare dei nostri traumi, degli inciampi, delle cose che non ci piacciono. E così in una manciata di ore sapevo che una di loro ha una forma grave di diabete, ma è un argomento di cui vuol parlare: vuole che le persone siano informate, non c’è nulla da nascondere, anzi; ho imparato che i trapper non piacciono a nessuno di loro: loro preferiscono la musica coreana; che vogliono far parte di qualcosa, ma non vanno mai a ballare; che spesso hanno i nonni come punto di riferimento e non vogliono si faccia ironia sugli argomenti seri; che quello che sanno non arriva mai dai giornali, ma solo da Instagram e Tik tok; che le ragazze si sentono messe da parte e schiacciate dal maschilismo; che per loro un luogo piccolo è soffocante, ma anche che qualsiasi luogo diventa piccolo prima o poi; che qualcuno è stato preso in giro e bullizzato, e dirlo fa ancora piangere; che si può stare male da non voler più uscire. Ma che comunque volevano tutti salire sul palco, la voce ferma, le domande intelligenti. 

 
Mentre li ascoltavo, io che sono stata chiamata perché ho sempre avuto piacere nel presentare i libri degli altri, ho sperimentato l’inesperienza – anche per me è stata una prima volta. E sperimentando la loro inesperienza, ho pensato che il tutto andava affrontato come un lavoro serissimo: discutere dei libri, trovare il punto in cui ci rispecchiamo; perché se trovi te stesso dentro al libro che stai leggendo, sarà lui a iniziare a leggere te. Abbiamo parlato dei libri continuando a parlare di noi, continuando a conoscerci meglio. Qualsiasi forma di vanità ha fatto subito un passo indietro: erano loro a salire sul palco, io sarei stata sotto in prima fila sapendo ormai cosa li muoveva – ognuno un’emozione diversa – e volevo solo prendermi cura di quell’emozione.  

 
In questi mesi ho parlato molto di materno, ma poi questo materno a volte così scomodo te lo ritrovi in tasca anche lontano da casa, come desiderio di stare dentro ai sentimenti dell’altro, di viverli in prima persona anche tu: semplicemente perché quei sentimenti trovino una giusta collocazione, la loro massima espressione senza angoli, spigoli, spine. Esperienza e inesperienza diventano un’unica cosa. 

 
Dopo una settimana passata insieme 14 ore al giorno, non riuscivamo più a smettere di scriverci. La nostalgia è durata due giorni, tantissimo; poi più niente, il silenzio, come è giusto che sia. Ma finché siamo stati insieme, anche quando hanno mostrato a Foriana Bulfon un letto d’oro zecchino in stile Casamonica chiedendo se volesse comprarlo; anche quando hanno fatto recitare a Pif il Padrenostro e ballare a Mario Desiati la musica techno, sapevamo tutti che erano snodi serissimi della loro intervista. Che ogni momento di risate e scherzi era il prezioso cuscinetto per accogliere tutte le emozioni dell’adolescenza. 

   
Troveremo il nostro posto nel mondo, ha detto A. per chiudere l’incontro con Murail. Intanto io ho ritrovato il mio, che è sempre lo stesso ma con qualcosa in più. La speranza di aver acceso una qualche vocazione tra le mille emozioni, l’illusione di uno scambio di scintille.
 

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