il figlio
Nata del genere sbagliato
Il documentario “Found” e lo choc collettivo della Cina: secondo i dati ufficiali, tra il 1979 e il 2015 almeno 15 mila bambini, la maggior parte femmine, sono stati dati in adozione all’estero a causa della politica del figlio unico
Quando hai deciso di abbandonare tua figlia, prima o dopo la sua nascita? Dopo la sua nascita, dice Chen Muxin. I funzionari del villaggio della provincia del Guangdong, in Cina, l’avevano scoperta. Se la sua famiglia avesse deciso di crescerla, avrebbe dovuto pagare ottomilacinquecento dollari di multa. Così un giorno, poco prima dell’alba, Chen Muxin ha vestito la sua secondogenita, ha messo in una culla improvvisata 300 yuan, l’equivalente di poco più di 46 dollari, un bigliettino con la sua data di nascita, e l’ha lasciata all’ingresso dell’Ospedale del popolo.
Secondo i dati ufficiali, tra il 1979 e il 2015 almeno 15 mila bambini, la maggior parte femmine, sono stati dati in adozione all’estero a causa della politica del figlio unico in Cina. Chi violava la legge a volte se la cavava con una multa, altre volte i funzionari costringevano le donne alla sterilizzazione, agli aborti forzati, anche molto oltre il terzo mese di gravidanza. La vita di una famiglia in Cina dipendeva dal prezzo che quella famiglia era disposta a pagare. Diciotto anni dopo quella neonata abbandonata davanti all’Ospedale del popolo, dall’altra parte del mondo, a Oklahoma City, Lily Bolka gioca a basket e a pallavolo, indossa l’apparecchio per i denti e le collanine, consola la mamma che piange alla cerimonia del diploma. Lily ha sempre saputo di essere stata adottata, perché la madre non gliel’ha mai nascosto e le leggeva un libro da piccola: “Quando sei nata in Cina”.
Sono due vuoti, due assenze complementari quelle che accompagnano la vita dei Chen e la vita di Lily. Per trentacinque anni l’autoritario controllo delle nascite cinese ha spezzato i legami familiari, ha trasformato i figli in un problema politico e ha provocato uno choc collettivo e sociale che in Cina si avverte ancora oggi. Ma allo stesso tempo per almeno quindicimila bambini quei legami si sono ricostruiti da zero, altrove, anche molto lontano. È l’indagine di “Found - Ritrovate”, da poco in streaming su Netflix. Diretto da Amanda Lipitz, il documentario racconta magnificamente la storia di tre adolescenti, Lily, Sadie e Chloe che cercano nel loro passato le risposte sul loro futuro. E nel mezzo si fanno un’infinità di domande – dove mi hanno abbandonata? e perché proprio lì? chi si è preso cura di me in orfanotrofio? come sarebbe stata la mia vita se non ci fosse stata la politica del figlio unico? Domande che restano incastrate nella loro crescita, e ci sono anche quando non si vedono, anche quando si è convinti che sia meglio non farle, come spiega Lily, perché “non voglio che mia madre pensi che non le voglio bene”.
Lily, Sadie e Chloe vivono in città diverse degli Stati Uniti. Non si sono mai viste prima. Ma tutte e tre arrivano indipendentemente alla decisione di fare il test di analisi genetica. Scoprono di essere cugine. Si videochiamano, parlano della scuola e del mistero dei loro primi mesi di vita in Cina. Decidono di rivolgersi a My China Roots, una società di Pechino che ricostruisce le origini dei bambini adottati o dei figli della diaspora. È Liu Hao, ricercatrice di My China Roots, a occuparsi del caso delle tre cugine americane. Procede così: inizia cercando nei registri di adozione, poi mette un annuncio online e quando ha sufficienti informazioni va a incontrare le persone. È quella la parte più drammatica, perché queste donne le parlano, sono disposte a fare le analisi del Dna, e a volte sembra stiano descrivendo una pratica burocratica ma il momento dopo viene fuori tutto il dolore del mondo. Anche Liu Hao era una bambina non voluta: i suoi genitori non volevano pagare la multa, volevano abbandonarla, venne cresciuta dai nonni ma suo padre continuò per tutta la vita a trattarla come un costo indesiderato, al contrario di suo fratello minore, maschio, e quindi più utile all’economia familiare. “Sei nata del genere sbagliato, loro non ti vogliono e tu lo sai. È per questo che mi sento così legata a queste ragazze. So che non posso capirle del tutto ma condividiamo alcuni sentimenti”, dice Liu Hao. È lei ad accompagnarle nel loro viaggio in Cina, a vedere i luoghi dove hanno vissuto e dove sono state accolte, a fare domande che non avranno risposta, ma che aiutano a riempire quel vuoto.