Il figlio
Caduta libera
Lo sconosciuto delle poste, romanzo splendido di una storia vera che nasce storta
Le vite degli altri ci sembrano lontane, sconosciute anche quando camminano al nostro fianco. Ci abitano sopra. Ci lasciamo amare, o uccidere. Sedotti, guardiamo gli altri con insistenza. La fantasia degli infelici che pratichiamo ci spoglia e ridicolizza. Eterni figli, si dirà. La presenza, ombra minaccia o abbraccio dei genitori come narrazione che preferiamo. Anche quando è assenza, buco nero.
Ma se la linea di una vita è storta sin dall’inizio? Quando non veste bene? Quando l’errore è irrimediabile? La vita di Gérald Thomassin iniziamo a conoscerla mentre adulto passa, ma si potrebbe dire perde, il tempo in un paesino di provincia. “Per tutta l’estate, ogni giorno le signore della zona stendono gli asciugamani e mettono le borse nel solito posto, battagliando con i turisti che, a detta loro, invadono il territorio. Cos’altro? Niente. È per questo che vengono.” La prima qualità di questo romanzo è la capacità di farti arrivare addosso gli odori e le smorfie della provincia. “In fondo, non le dispiace che uno dei condomini sia messo peggio di lei”.
Le piccolezze, le tradizioni stanche, l’enfasi nella noia e l’odio verso l’inaspettato. “Alla stazione, i treni passano senza fermarsi”. Thomassin è un uomo in caduta libera, figlio di una storia tossica. Ciondola per il paese e i dintorni con qualche compagno di sbronze, di droga, di chiacchiere che vengono dimenticate e cancellate dal sonno, per poi ripetersi in una veglia perenne, nell’attesa di niente. “Padre e figlio si rivolgono la parola a malapena, si evitano nelle stanze vuote della casa popolare. Tintin con gli assegni che riceve si compra alcolici e fumo, paga il cellulare e le multe della macchina. Se avanza qualcosa, allunga una banconota al papà per gli affitti in ritardo. A volte si picchiano. Sono inseparabili.” Gérald Tomassin non ha però una storia del tutto banale. Mentre è in comunità come tanti altri figli della sventura, il regista Jacques Doillon decide di girare un film, Le petit criminel, prendendo il protagonista dalla strada. Il sedicenne Gérald gli sembra perfetto e viene scelto come attore principale. Qui c’è una curva nella biografia che potrebbe portare a un’altra storia. Thomassin vince un premio César nel 1991 come migliore speranza maschile del cinema francese.
Ma la propria storia non è sempre semplice da prendere per mano. “Il giorno dopo la cerimonia, Thomassin viene fermato mentre ruba in un ipermercato insieme ad altri della comunità. Ancora oggi Doillon è convinto che volesse dimostrare a quelli che restava uno di loro”. Ha inizio una vita di scatti in avanti e ritorni indietro. Segmenti di storia regolare e parentesi di abisso. Il bambino diventa adulto. “Thomassin non è più il ragazzino sconvolgente del 1991. Non è diventato nemmeno Alain Delon. A 34 anni non è cresciuto, né invecchiato: ha conservato il piccolo volto tenero da adolescente, ma imbruttito, segnato, trascinato dalle correnti”. Il suo passo claudicante lo conduce a Montréal-la-Cluse, dove nel dicembre del 2008 viene uccisa la responsabile del piccolo ufficio postale. Il bambino diventato un adulto debole viene accusato dell’omicidio, senza nemmeno una prova. Seguono anni in cui l’infamia lo perseguita, lo affligge, lo umilia ulteriormente. Anni di povertà e cieco affidarsi al momento. Fino a che nel giorno dell’udienza che lo scagionerà lui non si presenta. E sparisce. Benedizione o sortilegio? Gérald Thomassin non è mai più stato rintracciato. Sarà finito disteso in un fosso, o rinato altrove? La nebbia che avvolge la sua vita è il motore di questo giallo dai contorni sfumati. Florence Aubenas dimostra di conoscere bene l’argomento, avendo studiato le carceri minorili e le fatiche degli ultimi. Il romanzo splendido di una storia vera.